Bertold Brecht - Lode al comunismo (1933)
È ragionevole, chiunque lo capisce. È facile.
Non sei uno sfruttatore, lo puoi intendere.
Va bene per te, informatene.
Gli idioti lo chiamano idiota e, i sudici, sudicio.
È contro il sudiciume e contro l’idiozia.
Gli sfruttatori lo chiamano delitto.
Ma noi sappiamo:
è la fine dei delitti.
Non è follia ma invece
fine della follia.
Non è il caos ma
l’ordine, invece.
È la semplicità,
che è difficile a farsi.
Questi brevi appunti non hanno la velleità di essere esaustivi. Tuttavia ritengo opportuno individuare un campo di analisi legato a come oggi nella società viene percepito il comunismo in senso lato, e più in specifico il socialismo come possibilità di trasformazione sociale.
A. Cosa non ha funzionato
Sappiamo bene che c’è stata un’involuzione culturale negli ultimi quarant’anni dovuta a vari fattori.
• La fine del socialismo reale, ossia di quella parte di mondo che, nel bene e nel male, teneva aperta la porta al superamento degli attuali rapporti di produzione capitalisti; questo epilogo ha reso marginali anche quei processi di transizione socialista come Cuba, enclavi dai giorni contati nella vulgata mainstream.
• L’opera di disinformazione e oblio che i media occidentali hanno operato in tutti questi decenni, rendendo marginale e falsificando sotto il concetto di populismo persino vasti processi sociali rivoluzionari come quelli in Sud America, Venezuela e Bolivia in primis.
• L’attacco che dagli anni ’70 in poi con il tatcherismo e il reaganismo ha liquidato movimenti operai e sindacali nell’Occidente capitalistico, ha modificato l’organizzazione internazionale del lavoro, con delocalizzazioni dei cicli di produzione, con lo sviluppo di classi operaie nei paesi del Terzo mondo che oggi aprono a nuove contraddizioni sociali in quelle che prima erano le periferie, ma avendo nel contempo significative flessioni verso la precarietà e la disoccupazione nei centri imperialisti. Questa caduta di forza sociale ha fatto da sostrato alla restaurazione culturale neoliberale.
• L’affermazione dell’orizzonte capitalista in ogni forma e contenuto di radicalità sociale, che ha portato persino le sinistre anticapitaliste e comuniste a modificare il linguaggio autoinibendosi, come se il proletariato, il comunismo, il socialismo, la rivoluzione, fossero bestemmie antistoriche o forme linguistiche non più aderenti alla realtà, o da riprendere in un futuro indefinibile, magari dopo aver fatto una bella Europa democratica e dei popoli.
• Non ha aiutato neppure chi non ha fatto altro che riproporre i vari “ismi” aggrappandosi ai testi sacri come santini “scaccia demonio”. E oggi assistiamo ancora a diatribe, queste sì, anacronistiche, quanto anti-marxiane, antidialettiche, poiché incapaci di analizzare concretamente la situazione concreta e di conseguenza agire politicamente da avanguardie di classe.
Tutti questi aspetti hanno concorso alla sparizione dei comunisti dalla scena politica, alla loro marginalità, nonostante che le condizioni e le contraddizioni sociali per lo sviluppo della lotta di classe verso una rottura rivoluzionaria stiano maturando insieme agli effetti economici e sociali della crisi sistemica e strutturale che attraversa l’intero modo di produzione capitalista.
Con il senno di poi, oggi è possibile capire che il capitalismo è un sistema contraddittorio e in crisi, ma che si serve delle sue crisi stesse per mettere in campo delle controtendenze sia a livello strutturale che sovrastrutturale e che batterlo non è né semplice e probabilmente cosa fattibile nei brevi tempi. Niente teorie del crollo dunque, ma barbarie fatta di sfruttamento, bolle speculative, ipertrofie finanziarie, attacchi ai debiti sovrani, dispositivi di dominio mediatico, della politica, non ultime le soluzioni militari, la guerra imperialista: un’eventualità sempre più concreta come guerra generale tra potenze imperialiste e capitaliste e uno stato permanente come insieme di conflitti militari asimmetrici, terroristici, fino nel cuore stesso dell’Occidente, come abbiamo visto con gli attentati jihadisti di Parigi e di Bruxelles.
La paradossale inconsistenza, marginalità dei comunisti, della loro opzione nelle società, dove più e dove meno, di fatto una debolezza soggettiva come denominatore comune, è ciò che oggi dobbiamo affrontare.
Un paradosso perché, al netto della grande capacità del capitalismo di affrontare la propria crisi più profonda con dinamismo e traendone vantaggio, ossia profitto e dominio, le contraddizioni sociali che sono pur tuttavia il prodotto di questa crisi, delle opzioni neoliberiste e ordoliberiste, potrebbero costituire uno spazio vasto di intervento, di riorganizzazione di un campo di classe e di un'identità politica ad esso connessa.
B. Le questioni che abbiamo di fronte
Se dell’impianto marxiano maturato fino agli anni venti con il leninismo, è ancora tutto attuale l’essenziale: teoria del valore, analisi dell’imperialismo e dello stato borghese, e storicamente si rende tutt’ora attuale la Rivoluzione Proletaria Socialista e determinante il ruolo dei comunisti, tuttavia occorre capire bene le dinamiche economiche e sociali attuali, poiché la battaglia che ci troviamo d’innanzi, anche con forti contraddizioni sociali, presuppongono “case matte” gramsciane belle solide. La questione culturale non è un aspetto secondario, bensì pertiene la ricostruzione praticamente ex novo di un’identità di classe e di una visione della lotta di classe stessa con prospettive di rivoluzione sociale e non palliativi, difese senza speranza e trattative al ribasso come sta avvenendo.
Oggi però questa battaglia politica e culturale è tutta in salita, perché l’apparato di controllo sociale, ideologico, culturale della controrivoluzione è un dispositivo ben collaudato, in grado di rispondere automaticamente a ogni forma di antagonismo politico e sociale nelle sue determinazioni mediatiche, repressive, sociali, politiche.
Le conseguenze sociali dell’austerity non corrispondono meccanicamente a una crescita dell'antagonismo di classe. L’arretratezza è su tutti i fronti in cui il pensiero unico ha frantumato l’identità di classe. E il CHI SIAMO viene ancora prima del COSA VOGLIAMO e COME OTTENERLO. Un grande problema di identità sociale a monte che va affrontato con intelligenza.
Egemonia, identità, progetto
Dunque, la grande borghesia, sia nostrana che quella multinazionale, europea, ha un’enorme influenza sulle aspettative, sull’immaginario, sul presente e sul futuro del corpo sociale di classe, sul proletariato, già frantumato sul piano della divisione sociale del lavoro e, a maggior ragione, a causa di questa frantumazione che restringe la coscienza del sé collettivo, quasi completamente privo di identità di classe e di solidarietà sociale, di coscienza di classe in sé e quindi di classe per sé.
Le forme più avanzate di lotta di classe scontano comunque i limiti di una settorialità. Ed è proprio su questo aspetto che il compito dei comunisti è basilare: ricostruire un filo rosso da situazione a situazione, che non si ferma alla “verità da rivelare”, ma che deve mettere in campo strumenti di comunicazione, di condivisione delle esperienze, di rinforzo politico e progettuale sulle battaglie vinte, secondo la metodologia materialistico-dialettica del rapporto tra particolare e generale.
Il “moderno principe”, cosa va cambiato e cosa resta come elemento costitutivo
Andrà certamente discussa e ridefinita la forma partito, il fatto che una forza comunista, oggi, per forza di cose è un soggetto composto da quadri politici e non un partito di massa, una soggettività che deve porsi nelle condizioni di creare organizzazione di classe, riunificare i movimenti e le realtà dell’antagonismo di classe in un progetto di alternativa politico-sociale, facendo crescere questo progetto dentro la dialettica dei movimenti. Si deve avviare un dibattito su quale partito, quale avanguardia politica comunista, ma ciò che resta come base del lavoro comunista è la visione leniniana, bolscevica, dell’avanguardia politica e organizzata che apporta coscienza dall’esterno. Ovviamente, da quanto esposto prima, non un’entità separata nella realtà delle cose, poiché questo “dall’esterno” metodologico si basa esattamente all’opposto sulla costruzione di un’internità nella classe, a partire dalle sue espressioni più conflittuali e autorganizzate.
Dunque, ciò che distingue i comunisti da espressioni politiche e sociali di autonomia di classe non è l’ideologia, e neppure la tranquillizzante costruzione del proprio partito comunista e la riproposizione di eterne verità in modo antistorico stile per dirla alla Gaber: il vangelo secondo Marx e Lenin, ma il punto di vista del lavoro politico nel quale i comunisti si pongono, di organizzatore collettivo della classe, di costruzione di filo rosso che colleghi l’intero movimento di classe verso un soggetto politico unitario. Il ruolo politico che si assumono nella prospettiva di un programma rivoluzionario e delle tappe politiche che vanno realizzate nel suo perseguimento.
L’autoreferenzialità e la mancanza di progettazione nei residui dell’autonomia e dei gruppi dirigenti riformisti
Spesso queste forme di autonomia antagonistica si spacciano per sociale quando invece sono signori ceti politici per eccellenza. Tutto sommato anche il rifugio nel”sociale” senza un dimensione politica complessiva, è un modo di riproporre una radicalità debole, che non si pone sul piano di un’alternativa di sistema, ma si limita ad agitare temi sociali con parole d’ordine limitate al contingente esattamente come gli euroriformisti di sinistra. Si parla di “poveri”, di “bisogni”, come si parla di “Europa dei popoli”, i primi senza collegare queste categorie alla questione della rivoluzione sociale, i secondi senza più alcuna alternativa concreta.
Pertanto abbiamo due categorie di soggetti che, tra una sorta di “contropotere” privo di progettualità e un riformismo tutto interno alla configurazione statale ed eurostatale, rappresentano i limiti di fondo della sinistra italiana, al netto delle pratiche pur antagonistiche da una parte e delle velleità elettoralistiche sia autonome che nella vecchia visione del centrosinistra.
Entrambe non si pongono il problema del potere. E ciò è l’elemento che maggiormente contraddistingue i comunisti da forze tutto sommato anarcoidi e riformiste.
In concreto, la questione dell’Unione Europea non può essere intesa come una semplice questione di giustizia sociale e di riforme dentro l’architettura costituzionale UE. Lo abbiamo visto in Grecia, dove un’assenza di un PROGETTO DI CONQUISTA DEL POTERE POLITICO basato sulla rottura con l’UE, ha dato come sbocco una deriva neoautoritaria in salsa euroriformista. Oggi Syriza è il più fedele esecutore delle politiche di massacro sociale della Troika, mentre l’organizzazione e l’iniziativa politica antagonista delle forze di classe si sono frantumate appena dopo il referendum del luglio 2015, con la resa di Tsipras ai tecnocrati di Bruxelles.
Identità, progetto, organizzazione nella concezione comunista della politica rivoluzionaria hanno nella questione del potere politico la questione centrale.
Dopo aver inquadrato le questioni nella loro dimensione generale, vediamo i limiti più specifici della forze comuniste oggi presenti nel paese e residuali.
C. La traiettoria politica dei comunisti verso la marginalità
Secondo la disamina fatta all’inizio, fino a quarant'anni fa non v'era dubbio che anche nelle società dominate dal capitalismo, sia i sostenitori che i detrattori del comunismo vedessero il socialismo come evento storico, politico e sociale possibile. L'apparato ideologico più maccartista e reazionario operava per mettere in campo presidi culturali nelle comunicazioni di massa che contrastassero l'idea stessa della trasformazione sociale comunista. Al di là delle contraddizioni politiche e sociali insite nel socialismo reale, non c'era dubbio che una parte dell'emisfero stesse compiendo questa trasformazione. Ciò dava forza ai movimenti operai e antimperialisti anche nel campo capitalista. Era una strada possibile nella realtà dei fatti.
Ma cosa è accaduto poi con la fine del socialismo reale e dell'URSS in Occidente e in Italia? Che la visione stessa di un'altra società possibile, di una società socialista, crollasse insieme al muro di Berlino. Il fallimento del socialismo reale ha pesato fortemente sul bilancio di 150 anni di lotte di classe. Nei primi del Novecento in Italia, i movimenti operai e sociali dal mondo contadino a quello delle fabbriche del nord avevano erano ispirati a ideali di una rivoluzione sociale possibile. E così avanti per decenni, lungo tutti i conflitti sociali e le fasi politiche, dalla repressione fascista e il confino, alla Resistenza e alla guerra di liberazione dal nazifascismo, alle lotte sociali del dopoguerra.
Ma alla fine di questo secolo, tutto questo è morto. Come eventualità, come possibilità, al di là, paradossalmente, dalla crisi del capitalismo stesso, che oggi vediamo con tutta evidenza essere strutturale e sistemica, in sistema mondo che è per questo sull'orlo di sconvolgimenti epocali, barbarie, con una guerra su vasta scala alle porte.
Nella scena politica lo scontro fondamentale è quello intercapitalista, ossia tra forze stesse del capitale. Ceti medi produttivi contro grande capitale italiano, finanziario e industriale, e questo, intenso come borghesie capitaliste del Sud Europa, disunite tra loro, contro settori di borghesia capitalista europea nel polo imperialista a trazione tedesca e nord europea, che esercitano la loro maggiore influenza negli organismi di governance dell’Unione Europea.
In questa scena politica dominante le classi popolari sono escluse e oggetto di politiche neoliberiste sulle quali non hanno alcuna incidenza. I comunisti men che meno non sono neppure percepiti come forze in campo.
Anche e nello scontro sociale di oggi giorno, i comunisti sono marginali. Ciò riguarda la capacità di egemonia culturale dell'avversario di classe, ma riguarda anche la soggettività, ossia i comunisti stessi, percepiti come alieni da ogni contesto e la cui azione oggi ha ben poco a che vedere con la capacità politica dei protagonisti del movimento comunista novecentesco, ossia quell'insieme di partiti, in cui spiccava il PCI e alcune significative organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, che ha spaccato la società in campi avversi, che ha inciso sui rapporti di forza tra classi, che ha garantito e gestito la rigidità operaia nei cicli produttivi, nel rapporto capitale/lavoro dagli anni '50 fino agli anni '70, che ha poi determinato, finita la spinta della via progressiva al socialismo, l'assalto al cielo nel '68 e poi ancora negli anni '70, come espressione antagonista delle nuove soggettività nella mutata composizione di classe.
Ecco, lo scarto tra i comunisti di ieri, al di là delle loro appartenenze e scuole di pensiero, e i comunisti di oggi è tragicamente stridente e abissale.
Ma tra comunisti e comunisti c’è una sostanziale differenza. Ci sono coloro che ripeteranno le eterne verità noncuranti della percezione che la società ha di loro e del comunismo stesso.E ci sono quei comunisti che questo problema se lo sono posto e che stanno rielaborando le modalità dell’organizzazione, della presenza e dell’azione politica nella società, affrontando questi forti limiti soggettivi.
D. La neolingua di sinistra ai tempi del pensiero unico imperante
Vorrei, infine riprendere i concetti trattati nei punti precedenti in funzione di una contronarrazione della realtà sociale, partendo proprio dalla questione culturale, dell’espressione di un punto di vista attraverso la parola.
Il linguaggio, ossia quell'insieme di parole che vengono utilizzate per esprimere dei concetti, la loro selezione nel discorso che si formula, esprime una visione del mondo.
Il linguaggio della sinistra attuale, quella che a vario titolo si colloca in un ambito di critica politica e sociale del sistema economico-sociale e politico dominante, ma ne utilizza gli istituti politici nazionali e sovranazionali, ha completamente assunto il punto di vista della mainstream culturale, del pensiero unico che dagli anni '80 a oggi ha rappresentato il punto di vista delle classi dominanti nell'offensiva neoliberista sui movimenti operai, sindacali e l'autonomia di classe.
In altre parole, non si può non collegare l'euro riformismo, l'idea balzana che in tempi di crisi globale e di concorrenza globale tra poli capitalisti, blocchi economico-sociali per recuperare quote di profitto a scapito delle classi popolari e operaie, sia possibile un capitalismo a trazione sociale, ossia il ritorno del welfare in Europa, come negli USA come in tutto l'Occidente capitalistico, dicevo non si può non collegare questa visione ristretta della società possibile a tutta la dotazione culturale e linguistica che ha fatto sparire dall'immaginario sociale come dal progetto politico parole come RIVOLUZIONE, PROLETARIATO, COMUNISMO, SOCIALISMO.
Non è un caso.
Se prendiamo la categoria gramsciana di egemonia, vediamo bene che questa non si dà come favorevole e fattiva per il proletariato nei rapporti di forza di classe attuali e, di conseguenza, le ricadute esistono anche sul piano culturale, sulla totale assenza di un blocco storico che sappia lavorare sulle prospettive e su una reale alternativa di sistema.
Abbiamo assistito in tutti questi anni a varie derive. La ricerca di nuove categorie del sociale, costruzioni identitarie solo nella mente di chi le ha prodotte, soggettività artificiali e fittizie, come le MOLTITUDINI, esaltazioni di parti di soggetti del lavoro come il puro generale intellect marxiano esteso a tutti i cicli di produzione, a riproduzione sociale pura, indistinguibile, mentre nei paesi del terzo mondo, in cui avveniva la delocalizzazione dei grandi processi industriali del capitale multinazionale la classe operaia delle maquilladoras, delle fabbriche a ciclo continuo e plusvalore assoluto del Bangladesh, della grandi fabbriche cinesi dedicati ad Apple e a Walmart, crescevano in termini esponenziali.
Ecco una prima considerazione sull'essere comunisti. I comunisti assumono un punto di vista di classe nella sua globalità. Non adeguano il proprio pensiero la propria visione del mondo a ambiti specifici della produzione sociale e quindi della stessa classe. È una visione che non ha confini e che riporta questa universalità della classe operaia e del proletariato nella situazione concreta.
Non sarebbero state possibili le prime rivoluzioni proletarie come quella sovietica, se non vi fosse stato nei partiti marxisti, socialdemocratici, bolscevichi, poi comunisti questa visione generale della classe, del capitalismo, della sua fase suprema, l'imperialismo. Avremmo avuto traiettorie rivoluzionarie differenti, immediatamente democratico borghesi. Non certo coraggiosi tentativi di gestione collettiva e sociale dei mezzi di produzioni, al netto degli errori e delle degenerazioni.
Dunque essere comunisti significa esercitare questo punto di vista nei processi del conflitto sociale, con l'intelligenza collettiva di un corpo militante che affronta la situazione con l'analisi concreta della situazione concreta.
E qui veniamo a una seconda degenerazione. Abbiamo parlato di una neo lingua che riproduce una rappresentazione che è quella dell'avversario di classe: l'Europa delle banche o l'Europa dei popoli, ma sempre questa architettura europea, dell'UE. Abbiamo parlato della sua variante di sinistra che produce un neolinguaggio di termini puramente astratti nel loro rappresentare immaginari spezzoni di classe per sé, appunto meramente cognitivi, non corrispondenti a soggetti concreti, che esprimono universalità e conflitto.
C'è il problema opposto: la riproposizione di una visione del mondo, organizzata culturalmente in un linguaggio corretto, ma che mostra tutta l'incapacità di comprensione delle nuove condizioni storiche, politiche, economiche e sociali. Una visione che resta nei principi di fondo del marxismo, ma senza compiere quell'operazione che gli stessi Marx, Engels, Lenin e così via i padri del marxismo, esortavano i socialisti e i comunisti a compiere: l'analisi concreta della situazione concreta. Il mondo delle eterne verità. Praticamente un vangelo.
Un mondo che si è fermato a decenni fa. Una narrazione astratta e incomprensibile nella situazione concreta delle lotte sociali, più in generale dei rapporti arretrati tra capitale e lavoro.
Questa narrazione uscita da Resistenze al fascismo e conflitti sociali primonovecenteschi, trovava legittimità e coscienza nel lungo ciclo capitalistico del dopoguerra, dove la classe con la sua forza materiale e sociale, dei suoi movimenti operai riscontrava in questi principi una corrispondenza diretta che collimava ancora con la sua memoria storica. In Italia, oltre al PCI si sviluppava un'ampia offerta di visoni del comunismo, tutte ruotanti attorno a Marx e Lenin nelle loro diverse varianti: maoista, trotzkista, persino ereticale. Poi l'ingresso nella lotta di classe dell'operaismo e le sue iniziali e feconde inchieste sull'operaio massa ha mantenuto questa coerenza di visione, questo punto di vista identitario.
Da quel momento: il declino prima descritto.
Solo vecchie analisi oppure visioni che non fuori escono dal capitalismo come orizzonte, che accettano i recinti del pensiero unico, privi di progetto in qualsiasi rivendicazione. La richiesta di democrazia nel paese e in Europa diviene una petizione astratta e fine a se stessa, buona solo per legittimare dei soggetti residuali, di lista in lista, di coalizione in coalizione.
Oggi, dunque, dobbiamo ripartire da noi. Occorre contrapporre, nell'interesse di tutto il campo dei comunisti, la necessità di analizzare alcuni aspetti fondamentali, oggi urgenti:
La composizione di classe
Quale tipo di soggetto politico oggi, il partito, tanto per capirci
Quale transizione, quale processo rivoluzionario al socialismo oggi è possibile compiere
E come farlo vivere, affermare a partire dal piano culturale e dell'immaginario nella società.
E. Il comunismo possibile, né dalla neolingua aprogettuale, né dalla reiterazione di vecchie narrazioni e analisi
E qui veniamo al punto che ho accennato in precedenza: l'approccio gramsciano dell'egemonia non può prescindere dalla rappresentazione del mondo e della società che storicamente è possibile costruire. La nostra rappresentazione del mondo possibile e dei percorsi di liberazione che sono possibili e praticabili.
Descrivo più in specifico il paradosso accennato in precedenza: in una fase politica in cui il pensiero unico dominate ha già raggiunto ogni interstizio dell'immaginario e inizia a vacillare sotto i colpi di un re sempre più nudo, ossia le ricadute sociali delle politiche neoliberiste, il massacro sociale sempre più evidente, il pensiero critico dei comunisti nel nostro paese ha raggiunto il punto più basso di influenza su questo immaginario, non produce identità di classe massificata e operante dentro i conflitti sociali, si esprime tutto al più con vecchi schemi politici.
È questo paradosso che dobbiamo affrontare.
Non abbiamo quegli strumenti esterni che fino agli anni '80, ci davano la forza di parlare e costruire identità organizzata nei processi sociali del conflitto di classe. Quelle prospettive concrete perché in attuazione nel bene o nel male e che erano avvalorate da una metà del mondo definita anche nella vulgata comune come comunista.
Torniamo a sentire quel clima vissuto in Italia negli anni sessanta, per capire di cosa sto parlando.
Bastava la parola UNIONE SOVIETICA, CUBA, CINA, era tutto molto più facile dimostrare che il comunismo era nelle cose, a pochi km addirittura.
Guardate compagni, che questa certezza faceva più di una diffusa propaganda con milioni di opuscoli ovunque. Certo, c'era la riduzione a vulgata, la falsificazione stile reader digest, ma il comunismo possibile, anche nell'errore, ma possibile, serviva anche al più accanito trotzkista e bordighista. C'era perché c'era il campo socialista, poche storie. Si usciva dalla guerra e dalla Liberazione, i partigiani erano poco più che dei trentenni, nel boom economico conviveva in migliaia di posti di lavoro, sezioni, abitazioni, la convinzione che questo progresso avesse comunque le storture di un sistema basato sull’ingiustizia sociale e lo sfruttamento e doveva essere condizione di crescita di forza sociale ed elettorale per un cambio sociale per il comunismo era qualcosa di pensato e discusso quotidianamente collettivamente, era una visione vitale che viveva nella stampa di partito, nelle opere di numerosi intellettuali e artisti, oltre la coltre censoria democristiana, al di là della tv di Bernabei.
In quegli anni l’evocazione del socialismo, il suo immaginario erano direttamente collegati a società esistenti, un aspetto evidente ed operante sia nell’ipotesi di una democrazia progressiva al socialismo, sia nelle visioni immanenti e imminenti di una rottura rivoluzionaria.
Ora torniamo all’oggi e guardiamo cosa ci offre il panorama sociale e culturale. Ecco, oggi noi, come comunisti, già marginali nella scena politica per oltre un trentennio, rischiamo di restare marginali in un momento in cui nascono nuove narrazioni e immaginari dentro i conflitti sociali, se non comprendiamo su quali leve dobbiamo agire nella società.
Su questo limite sono andati a cozzare tutti: da Rifondazione al partitino più settario. E inevitabilmente, scissione dopo scissione, nel linguaggio e nella visione delle nuove entità, Nell'esempio di SEL e di tutte le varianti arcobaleno, altre qui e altre là, si affacciava il trasformismo, una visione più aderente alla sopravvivenza di uno stato maggiore di colonnelli senza esercito in un seggio al parlamento o in un consiglio comunale o regionale. La neolingua giusta per un posto al sole giusto. Il pestare le corna nella visione di un centro-sinistra che ha rappresentato non l'opportunità di cambiare dall'interno la politica del grande partito cosiddetto di sinistra, ma il sancire la fine politica e culturale della politica rivoluzionaria e dei comunisti.
Intanto il PD era già approdato da anni a elemento trainante delle forze neoliberiste del grande capitale, espressione diretta dei centri di potere sovranazionali delle tecnocrazie dell'UE.
QUANDO SENTITE PARLARE UNO DI QUESTI RAPPRESENTANTI DELLA SINISTRA BUONA, RIFORMISTA E RAGIONEVOLE, MENTRE CRITICA IL PD CONTINUANDO A FARNE LA VARIANTE DI SINISTRA, A VENDERCI I BUONI SENTIMENTI DI UNA IPOTETICA SINISTRA DI GOVERNO DENTRO IL VERMINAIO LOBBISTICO DEL PARTITO DELLA NAZIONE, LA SUA NEOLINGUA E LA SUA VISIONE DEL MONDO, CAPIRETE, SONO PARTE ORGANICA DI QUESTA SINISTRA IMPERIALISTA CHE IMPONE UN UNICO E REITERATO QUANTO “MIGLIORABILE” ORIZZONTE.
UN MULINO BIANCO EUROPEISTA, PRIVO DI PROSPETTIVE FORTI DI UN CAMBIO RIVOLUZIONARIO. UNA PARS CONSTRUENS SENZA ALCUNA PARS DESTRUENS, COSTRUZIONE DEL NULLA SULLE MACERIE DELLE DEMOCRAZIA BORGHESI OCCIDENTALI, DEI DIRITTI IRREVERSIBILMENTE COMPROMESSI.
Su queste illusioni si è compiuto il dramma del popolo greco. Su queste illusioni, su queste autocensure sulla rivoluzione sociale possibile: sulla Rivoluzione Socialista, sull'identità da ricostruire come classi sociali sfruttate: proletariato, sulla necessità di togliere il monopolio della produzione sociale alle classi dominanti che portano al massacro sociale, alla guerra di rapina, allo sfruttamento bestiale milioni di persone, e quindi sulla necessità e possibilità storica di avviare la socializzazione dei mezzi produzione, della loro gestione collettiva, il comunismo nelle,sue fasi, Neolingua e politica priva di prospettive sono le due facce della stessa medaglia, sono il trasformismo che è realtà di tutti i giorni.
Noi dobbiamo andare oltre. Abbiamo davanti tanti luoghi comuni. Se affrontiamo un confronto con quella che nel gergo interclassista della neolingua si chiama “gente comune”, “cittadini”, “società civile”, ci si imbatte nella domanda: ma perché la sinistra non si mette tutta insieme? La risposta è, i comunisti non possono mettersi insieme a forze che illudono, che ritardano la presa di coscienza, che vogliono darci piatti di lenticchie che non esistono più, che si vergognano di chiamarsi persino sinistra e vanno di di liste civiche senza avversari, senza indicare le cause vere delle ingiustizie sociali e della attuale situazione, che è a un punto di non ritorno per la stessa democrazia parlamentare borghese, per lo stato sociale, per i diritti sul lavoro, in uno stato di guerra che aumenta sempre più la sua escalation e che non è più possibile controllare con l'ordinario esercizio degli istituti democratici, costituzionali, parlamentari, persino governativi.
Ma come lo comunichi? Quale visione, quale immaginario? Di fronte a decenni di oblio e di società dello spettacolo, di mainstream culturale, di frammentazione nel lavoro come di spersonalizzazione precaria, di interruzioni pubblicitarie, di assenza e censura su qualsiasi idea di cambiamento rivoluzionario che abbia un nome e cognome, un origine e un futuro, di coscienza di sé, come ricrei una visione comune, un’identità collettiva che vada oltre il momentaneo mettersi insieme di gruppi di cittadini che non vogliono una discarica, o di lavoratori che non vogliono essere licenziati per continuare a sbarcare il lunario, non per creare forza, organizzazione su un progetto ampio di rivoluzione sociale. Un abisso.
Il campo d'azione dei comunisti è però proprio questo: "hic Rodhus hic salta". Non si tratta di parlare nuove lingue o di illuderci che in questa società ci possa essere un'alternativa di pace e giustizia sociale come fanno tutti i riformisti dalle belle intenzioni. Si tratta di agire sull'immaginario, sulla cultura, sull'identità di classe, sulla solidarietà sociale. Si tratta di fare un grande lavoro di comunicazione sociale. Sono queste le case matte di Gramsci.
Si tratta di porre all'ordine del giorno un soggetto politico che sia in grado di essere organizzatore collettivo delle varie forme di antagonismo sociale, un filo rosso in funzione di una ricomposizione identitaria su un progetto politico di alternativa sociale, ma che sappia al contempo giungere anche laddove non c’è conflitto o ce ne è poco, sempre e comunque con elementi di ragionamento chiari, che sappiano tenere la vulgata populistica con un impianto analitico sempre dispiegabile nel momento in cui lavori più in specifico sulla formazione di un corpo militante.
Un soggetto che non si ponga la questione del governo come unico orizzonte di cambiamento, bensì la questione del potere politico, di quel solo ambito del conflitto di classe che può agire in modo definitivo sui rapporti di forza tra classi. Perché la rivoluzione non è una vittoria elettorale, ma un processo più profondo, che distrugge le basi stessi della società, apparati di potere ultrasecolari, un processo costituente che parte dal basso e questo basso va preparato, coltivato con pazienza senza deviare in facili quanto impossibili scorciatoie trasformiste o dogmatiche.
È finito il tempo dei trasformismi e delle illusioni. Partiamo a costruire solide fondamenta nel concreto, in un processo di unione dei comunisti che ha chiaro il lavoro da svolgere e i punti di analisi da affrontare: composizione di classe, partito, fase attuale. Un processo che deve vedere interagire i quadri politici provenienti dalle diverse esperienze organizzate, con il suo network informativo, il suo arcipelago di realtà sociali unificate in una piattaforma unitaria politica, progettuale.
Ricostruzione di un campo identitario attraverso quegli strumenti di comunicazione essenziali propri del populismo, ecco cosa occorre. Non la svendita della propria visione dentro il mare magnum dei luoghi comuni interclassisti.
F. Per una nuova presenza e azione dei comunisti nel paese e nell’intera area del polo imperialista europeo.
Più che pensare a costruirsi il proprio partito comunista in stile Marco Rizzo, si tratta di pensare a una costituente trasversale a tutti quei quadri comunisti che non si ritengono l’ombelico del mondo e i depositari di un vangelo politico sclerotizzato alle mummie dei padri, e che pensano di costruire l’organizzazione comunista nella dialettica costante con i movimenti antagonisti di massa e con il sindacalismo conflittuale, un soggetto che cerca di arrivare anche agli elementi più arretrati, che non hanno l’autoreferenzialità di chi si crea il proprio ghetto culturale privo di politica concreta, ma che fanno vivere la politica rivoluzionaria nelle modalità possibili in questa fase, con questi rapporti di forza, in piena egemonia del pensiero borghese neoliberale su qualsiasi processo sociale collettivo e di critica del particolare che sappiamo essere scollegata al generale.
Sinora abbiamo proceduto producendo scatole cinesi di sigle. Non penso che siano questi atti formali a darci la possibilità di coagulare un soggetto politico a partire dai comunisti e dai soggetti del conflitto più coscienti.
Penso piuttosto che questi lavori di confronto tra comunisti debbano produrre quel corredo culturale, organizzativo, concettuale e di comunicazione che serva a un soggetto politico unitario.
Lo scopo iniziale è quello di coagulare su temi essenziali e chiare linee di azione un corpo militante di quadri politici riconoscibile nella società, allargarlo attraverso un percorso di lotta comune, dentro le realtà di lotta, i movimenti e le tensioni sociali che emergono nel paese. attraverso il collegamento
È importante creare un campo di confronto permanente che con il dibattito, determini la condivisione di alcuni capisaldi teorici, politici e strategici di fondo.
Sono questi i fattori che possono dare vita a un processo di costruzione di un un fronte popolare di classe che faccia suo l’elemento cardine del conflitto sociale. La Piattaforma Sociale Eurostop per esempio è già una prima configurazione tattica importante, non solo un terreno di lotta e di lavoro per linee esterne, diffusione di parole d’ordine già individuate e che rappresentano i punti di intervento “per la massa”, ma è anche un terreno di ricomposizione delle soggettività politiche, di lavoro militante per linee interne su cui costruire l’organizzazione dei comunisti.
G. Pongo alcuni pannelli, alcune chiavi di interpretazione della politica di classe rivoluzionaria.
1.La ridefinizione della transizione al socialismo e al comunismo, analisi concreta della situazione concreta e visione di un progetto politico di ampia portata.
(Pannello strategico)
Oggi quale socialismo è possibile a partire da una seria analisi della composizione di classe, delle alleanze sociali nell’era della distruzione del tessuto produttivo del paese e della predazione del grande capitale monopolistico anche ai danni delle classi medie, dei rapporti tra capitale e lavoro, della fase caratterizzata da un attacco su vasta scala del capitale neoliberista e ordoliberista versus le classi popolari e su più livelli: economico, sociale (welfare, diritti), democratico (scardinamento della democrazia rappresentativa verso forme di premierato autoritario). Quale percorso di liberazione dallo sfruttamento salariato a questo stadio del modo di produzione capitalistico? Quali esperienze contemporanee in altre parti del mondo possono essere utili per trasformare l’utopia in realtà, in percorso collettivo di liberazione?
Quali linee di azione, quale strategia politica nell’attuale contesto italiano, europeo, mediterraneo e mondiale, considerando le caratteristiche e la direzione dei colpi che assume la guerra imperialista del blocco USA-NATO verso Russia, Cina e paesi non allineati alle politiche di contenimento del declino del dollaro e dell’influenza USA e Occidentale sui mercati e nel sistema capitalista mondiale?
In questo pannello ci sono sia il programma minimo che quello massimo, hanno una loro dialettica intrinseca e la questione è del tutto aperta. C’è la strategia generale, sono tutti elementi di analisi della situazione concreta interconnessi tra loro. Qualcosa di ben di più di un ritrovarsi insieme perché si è contro la guerra, Questo deve essere il terreno del confronto e della politica dei comunisti. Con una consapevolezza: che non si dà definizione di un percorso di rivoluzione socialista senza analisi della composizione di classe.
2. Sovranità popolare e internazionalizzazione del conflitto di classe, apparentemente un ossimoro. (Pannello tattico)
Altro che Stati Uniti d’Europa, euroriformismo e lotte sociali autonome anche da una visione più ampia di potere di classe, con suoi triti concetti generici di contrasto alla povertà!
Il punto focale della questione democratica, del potere di classe e dell’affermazione dei bisogni sociali è la rottura con il dominio classista dell’Unione Europea. Far saltare il tavolo della Troika, questo l’obiettivo che si coniuga non con una restaurazione dei vecchi poteri, ma con l’avvio di un nuovo potere costituente, di una sovranità popolare che non è campanile bensì che trascende i confini dei singoli paesi. La spinta dei migranti alle frontiere della fortezza Europa ha un forte valore simbolico e ci dice che la classe operaia, il proletariato è sì fatto di comunità locali che si aggregano in movimento come i No Tav i No MUOS, su obiettivi specifici, ma che tali aggregati sono parte di una classe più vasta, dunque di un rinnovato internazionalismo anticapitalista, che deve esprimersi attraverso una conflittualità e una democrazia dal basso che non ha frontiere imposte, che coglie tutte le specificità ponendole in una visione più ampia di società. Non cediamo agli aedi del proprio orticello, al ritorno al concetto di nazione stile Giulietto Chiesa. Il compito dei comunisti qui è vitale per gli esiti di un processo conflittuale di vasta portata. Perdere significa consegnare la critica e l’antagonismo sociali alle destre xenofobe e fasciste che premono alle porte dei movimenti, Un rischio latente e legato alle contraddizioni sociali in atto, molto più reale e possibile di quello che potremmo pensare.
La questione dei movimenti operai e della loro forza possibile è uno dei temi centrali. La resistenza popolare e operaia al jobs act in salsa francese che abbiamo visto nelle vaste e combattive mobilitazioni d’Oltralpe a fine marzo, ci indica le potenzialità in questo ambito e la strada da perseguire per rimettere al centro il protagonismo del lavoro salariato, della precarietà e dell’esercito industriale di riserva come massa critica che può radicalizzare il conflitto sociale in diversi paesi del fronte sud europeo e non solo.
Ricomporre tutte le soggettività del proletariato nell’intera area euromediterranea e oltre, con i loro flussi, la loro precarietà di vita e di lavoro: un compito immane, ma non ci sono altre strade.
3. La guerra, terzo pannello (tattico). Va collegata al sistema capitalista come effettivamente è. Il mantra capitalismo = guerra è il grimaldello per scardinare l’imbecillità anche delle anime più candide. Oggi i giochi in atto iniziano a palesarsi e l’80% di italiani sono contrari all’intervento in Libia. Ciò vuol dire tante cose. Anche una presa di coscienza ancora embrionale. Ma “ringraziamo” anche la politica guerrafondaia terrorista e dissennata delle cancellerie, dei complessi militari, dei centri di potere del fronte NATO a dominanza USA-Clinton-neocom, se oggi diviene chiaro a molti come sia nato il DAESH, come queste guerre si caratterizzino come azioni terroristiche deliberate sui civili dal Medio Oriente sino nei nostri centri metropolitani dell’Occidente.
I comunisti non se la possono cavare con un antimilitarismo etico o peggio col pacifismo puro. Devono essere in grado di agire dentro questo ambito con una critica politica puntuale delle forze del capitale, di quanto il neoliberismo e il capitalismo in sé abbiano i germi della guerra su vasta scala, che si ripresenta puntualmente a ogni svolta storica costellata dalla crisi del capitale. Il mercato in mano ai predoni neoliberali ha significato una pletora di guerre durante il periodo post bellico che noi chiamiamo in modo insulso epoca di pace, ma in realtà caratterizzato e calmierato dalla deterrenza nucleare. Non è poi così scontato che le opinioni pubbliche si bevano la necessità di effettuare strette autoritarie e limitazioni dei diritti e della democrazia, quando diviene chiaro nei fatti, grazie anche ai social e alla rete, chi siano i responsabili di questa escalation. C’è molto lavoro da fare e ancora tanta disinformazione, ma penso che le condizioni per la crescita di un movimento contro la guerra che sicuramente sposerà posizioni anche interclassiste, meramente pacifiste sia elemento essenziale per andare ad agire sui rapporti di forza nel paese.
4. Il quarto pannello affronta la comunicazione e le forme d’organizzazione di base e del partito.
(pannello tattico)
Il campo che abbiamo da sempre definito agitazione, alcune parole d’ordine concetti essenziali a un vasto numero di persone e propaganda un insieme articolato di ragionamenti e analisi a un numero più ristretto di soggetti, avanguardie, militanti, attivisti.
Sul piano della comunicazione non è possibile non affrontare le modalità di un intervento differenziato per un pubblico piuttosto differenziato sul piano culturale, il grande tema dell’analfabetismo di ritorno e funzionale, in decenni di devastazione culturale data dalla società dello spettacolo: anche questo è un grande limite al dispiegamento di una visione comunista della società futura, della critica sociale dello stato di cose presente.
Un’indicazione: l’analfabetismo funzionale presuppone un’azione su più piani: per esempio l’immediatezza del linguaggio e il canale video nei social e nella rete come negli incontri pubblici, la semplicità degli enunciati, la leva emozionale.
Anche in tempo di rete e social, la costruzione di una struttura, di un sistema comunicativo all’altezza dei tempi è un elemento essenziale che definisce anche le modalità in cui si sviluppa un’organizzazione di classe e il suo lavoro politico di diffusione di idee e concetti, di costruzione di un campo identitario, di una dialettica tra soggetti, coscienze, valori, pratiche sociali e politiche.
Cosa deve essere allora oggi l’organizzazione dei comunisti, come deve porsi, strutturarsi? Sono questioni del tutto aperte e possiamo risolverle solo se mettiamo insieme tutte le nostre energie e la disponibilità a un confronto ampio.
Un’analisi specifica dei diversi ambiti in cui si esprime la resistenza sociale e l’antagonismo nei suoi vari livelli è una condizione indispensabile, andando ad approfondire le dinamiche interne a: sindacalismo di base e conflittuale, centri sociali e d’aggregazione sul territorio, occupazioni abitative e occupazioni militanti, associazionismo, cooperazione, presidio vertenziale del territorio, microconflittualità episodica in relazione alle modalità d’intervento per una ricomposizione e una rappresentanza politica unificata su un progetto generale condiviso, attraverso l’organizzazione di classe, la comunicazione e le sue reti che possono unificare pratiche, messaggi, modalità associative.
Un’indicazione: la costruzione di un soggetto politico unitario e di un progetto presuppongono la costruzione di un canale di comunicazione, di un network facilmente identificabile con il soggetto. Dovremmo imparare dall’esperienza dei pentastellati, rete e forza politica, senza conferire alla rete proprietà risolutive ed esaustive della politica rivoluzionaria e della democrazia partecipata e diretta.
Un’altra indicazione: la forma partito si adatta alle circostanze sociali, repressive, ecc. della fase, ma il partito in sé deve essere un’unità organica in grado di rideterminarsi in base alle condizioni date nelle modalità che queste condizioni richiedono.
5. Quinto pannello: la solidarietà sociale
(Pannello strategico, creazione e sedimentazione di un’identità in crescita e organizzazione di classe nel conflitto, nelle sue pratiche)
Tra organizzazione, azione, progetto, identità manca ancora l’individuazione del collante. Si chiama solidarietà sociale, di classe, quella che univa le lotte sociali del primo Novecento, ben descritte nella trilogia di romanzi il Sol dell’Avvenire di Valerio Evangelisti. Forse ci siamo dimenticati che per cambiare lo stato di cose presente dobbiamo creare questo collante fatto di tanti piccoli gesti e azioni quotidiane. Quel qualcosa che come una palla di neve diventa valanga, diviene potere costituente, soviet, consigli, barrios, Comune. È la premessa per essere domani più di oggi. Passo dopo passo.
Ciò che andiamo a costruire sul territorio, nei luoghi di lavoro, le nostre pratiche di lotta devono mettere al centro come presupposto questo aspetto. L’identità nasce dall’unione, da una pratica comune, non solo da un confronto che se preso in sé, senza legami con la pratica e le relazioni, rischia di essere accademico e basta. L’identità collettiva è l’embrione del potere costituente dal basso. Le parole hanno un peso, una loro comprensione o meno, così anche i gesti, gli atteggiamenti, le azioni, le regole che ci si dà in un contesto, in un percorso collettivo.
Ciò riguarda il nostro atteggiamento verso l’esterno. Bella materia di confronto, che non è stata affrontata sul serio da molti anni.
In definitiva, se sapremo collegare un progetto generale di società, in modo coerente e al di fuori dei soliti tatticismi autoreferenziali, a delle chiavi di lettura e d’azione immediate, che non si appiattiscano sulle istanze dei movimenti, ma con esse ne sviluppino una dialettica, affrontando con un’adeguata intelligenza comunicativa l’agitazione e la propaganda e riportando i singoli temi a una visione generale, vuol dire che avremo posto le basi per la costruzione e la crescita di quel soggetto politico di rappresentanza generale delle classi popolari che oggi manca.
Nico Macce