Il ruolo dei comunisti: alcuni spunti dall’assemblea della Rete dei Comunisti di Napoli
- di Italo Nobile
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Venerdì 10 Marzo, a Napoli, nello spazio occupato ed autogestito di “Villa Medusa” a Bagnoli, ospiti del Laboratorio Politico Iskra, numerosi militanti e organizzazioni hanno risposto all’invito della Rete dei Comunisti - elaborato con una lettera aperta che poneva alcune questioni dirimenti (https://retedeicomunisti.org/index.php/i-documenti-della-rdc/1187-i-comunisti-tra-passato-e-futuro-lettera-aperta) - a confrontarsi sull’essere comunisti nell’epoca contemporanea e sulle funzioni possibili da interpretare nella congiuntura politica.
Tra le organizzazioni presenti oltre la Rete dei Comunisti e il Laboratorio Politico Iskra di Bagnoli, il collettivo Mensa Occupata (collegato alla rete Noi Saremo Tutto), il Partito dei CARC e un compagno della segreteria provinciale del Partito della Rifondazione Comunista.
Apparentemente il dibattito è andato oltre il tema, ma possiamo anche dire che tale esito si è rivelato inevitabile alla luce del fatto che l’agire comunista oggi presuppone uno sguardo complessivo sul mondo attuale e sulla complessità dei nostri compiti teorici e politici.
All’inizio si è parlato di metodo ponendo l’accento sulla necessità del confronto franco tra compagni, della disponibilità ad affrontare a viso aperto le differenze con la consapevolezza che le critiche che ci si può vicendevolmente fare (a condizione che siano argomentate) non debbono essere considerate attacchi politici ma forme di quel necessario arricchimento reciproco che è il presupposto della crescita politica ed organizzativa di una eventuale connessone tra militanti ed esperienze politiche che si richiamano alla lotta per il comunismo.
Nel corso della discussione si è convenuto sull’opportunità di elaborare un metodo di lavoro e di confronto volto all’individuazione di un linguaggio condiviso. Perché questo avvenga si è considerata necessaria la moltiplicazione di incontri di questo tipo in modo da poter meglio circoscrivere ed analizzare i temi sul tappeto oltre che per monitorare la fase e le dinamiche del conflitto in modo, se possibile, sempre più coordinato.
Si è cercato poi, sia pure con inevitabile approssimazione, di tracciare un quadro degli scorsi decenni che spieghi le attuali difficoltà delle organizzazioni comuniste e il correlato processo di reazione delle classi dominanti alle conquiste operaie avvenute nello scorso secolo. Si è convenuto che il passaggio dal fordismo al postfordismo abbia causato quelle ristrutturazioni che hanno espulso molti lavoratori dal processo di produzione e generato quei processi di frantumazione politica ed economica non solo della composizione di classe ma dell’intera società. Questo sempre nel senso previsto da Marx della maggiore socializzazione delle forze produttive e della crescente concentrazione/centralizzazione delle forme di comando statuale.
Si è riconosciuto che un’altra cesura è consistita nel periodo 1989/1991 che ha distrutto il campo socialista che con tutti i suoi limiti strutturali e politici costituiva oggettivamente una forma di resistenza al rullo compressore dell’imperialismo.
Questo evento ha dato origine sia al declino della socialdemocrazia con il progressivo abbattimento dello stato sociale e il sostanziale svuotamento delle forme della democrazia imperialista.
Inoltre – con tempi e modalità sicuramente non lineari – è iniziata la crisi dell’ unipolarismo Usa e l’avvio del processo di formazione e consolidamento del polo imperialista europeo.
In tale dialettica è stato evidenziato il ruolo degli Stati, sia nel ridisegnare la geografia politica ed economica dell’Europa dopo il 1989, sia nel consentire al capitalismo di rinviare quanto più possibile le conseguenze, potenzialmente rivoluzionarie, della crisi economica.
In questo contesto si è evidenziato, non solo in Italia o in Europa ma a scala internazionale, un arretramento materiale del proletariato come classe in sé e si è registrato anche un arretramento ideologico del proletariato come classe per sé.
A questo ulteriore arretramento va opposta necessariamente la ripresa e l’approfondimento dell’analisi marxista e leninista riqualificandola e riconnettendola alle gigantesche trasformazioni politiche, economiche e sociali che il capitalismo produce nel corso del suo dispiegarsi.
Il dibattito ha affrontato perciò la questione dell’utilità o meno di un bilancio storico del comunismo novecentesco. Se da un lato si è ribadita la necessità di una discussione su tale bilancio (evitando sia il liquidazionismo che l’arroccamento dogmatico e privo di dialettica), d’altro canto si è osservato che tale discussione non deve paralizzarci e compromettere quell’esigenza di iniziativa che può partire solo dall’analisi della fase e dalle istanze di raccordo e di coordinamento tra soggetti che si richiamino alla battaglia per la trasformazione rivoluzionaria della società.
A tal proposito, a chi ha detto che, sulla base della fase oggettivamente rivoluzionaria causata dalla crisi, sia doverosa la costruzione del partito, gli altri soggetti hanno opposto la necessità iniziale di creare le condizioni per tale costruzione attraverso un ciclo di lotte e la conseguente formazione di quadri, considerato che un contesto rivoluzionario non crea automaticamente le condizioni per una fase rivoluzionaria. E’ stata usata la metafora di un fiume da guadare e dunque si è detto che bisogna costruire un ponte e procurarsi gli strumenti adatti per farlo.
Si è parlato poi di una storia recente spesso rimossa nelle discussioni tra comunisti: l’esperienza di Rifondazione Comunista, un partito in cui alcuni hanno militato, altri hanno guardato dall’esterno, ma che costituisce un percorso che va approfonditamente studiato anche per imparare dagli errori e da guasti generati dalle evidenti derive di questa esperienza politica.
Il primo di questi limiti è stato sicuramente il fatto di non aver effettivamente rifondato il paradigma e l’analisi marxista e leninista, di averlo discusso cioè in maniera non approfondita e per un periodo di tempo limitato, dopo il quale vi è stata una progressiva abdicazione alle ragioni di compagni di strada troppo interessati alla liquidazione di un altro pezzo di storia. Inoltre si è detto che anche il percorso federativo nel costituire il partito, avendo tutelato le piccole identità preesistenti piuttosto che il soggetto nuovo che doveva svilupparsi, ha alla fine prodotto la disgregazione progressiva di questa esperienza.
Da qui si è passati al ruolo e alla funzione del sindacato di classe, un sindacato che deve essere, necessariamente, modernamente confederale, metropolitano, meticcio ed internazionalista. Un azione sindacale e sociale in grado – quindi – di interpretare e collegarsi con un blocco sociale non omogeneo e fortemente frantumato dall’offensiva capitalistica e dai costi della crisi.
Appurato il ruolo reazionario (spesso neo-corporativo) degli attuali sindacati collaborazionisti si è convenuto che il sindacato (sia pure di base, sia pure capace di coniugare organizzazione e spontaneità) non sia lo strumento sufficiente per la lotta di classe ma che tuttavia rappresenta uno dei campi d’azione centrale per cui il dibattito su tale questione non può essere rinviabile per sempre ma va affrontato in sintonia con tutte gli altri snodi teorici e politici.
La discussione - anche rispondendo ad uno dei quesiti posti dalla Lettera Aperta della RdC – ha auspicato che le varie esperienze sindacali conflittuali, soprattutto davanti a vertenze e lotte interessanti e significative, dovrebbero intessere livelli almeno basici di comunicazione e, se possibile, di collaborazione.
Naturalmente non si poteva non accennare al tema della crisi economica attuale, del suo mancato superamento e della sempre più pressante necessità della guerra per ottenere quella distruzione delle forze produttive che scongiuri l’esito dissolutivo a livello di sistema della crisi stessa.
Qui molti dei soggetti che si sono confrontati hanno condiviso l’idea della necessità della lotta contro l’imperialismo europeo (che vede il suo limite nella politica estera dove si ravvivano gli imperialismi nazionali con conseguenti dinamiche disgregative) e dell’adesione alla campagna della Piattaforma Sociale Eurostop sia pure arricchendola con ulteriori elementi programmatici.
Al tempo stesso è stata evidenziata l’esigenza di analizzare con maggiore attenzione il ruolo e la rilevanza internazionale dei Brics (assumendo anche la prospettiva dei movimenti dei lavoratori interni a tali paesi).
Nel corso della discussione è stata posta l’esigenza di un approccio marista e scientifico alla questione relativa al rapporto Capitale/Natura ed al possibile infarto ecologico del pianeta.
Legata al tema della crisi è la questione dello sfruttamento eccessivo della natura da parte del modo di produzione capitalistico (e qui si può inserire anche una attenzione politica verso l’imminente scadenza referendaria No Triv).
A tale proposito i comunisti non criticano, astrattamente, la crescita o lo sviluppo delle forze produttive ma pongono la domanda cosa, come e quanto produrre, ovvero di pianificare e gestire collettivamente la produzione in un contesto di critica generale del capitalismo.
Infine è stata affrontata la questione/contraddizione meridionale, intesa come tema che i comunisti napoletani (ma non solo) devono alimentare in continuità con l’analisi gramsciana spesso rimossa.
Una rinnovata attenzione a questo argomento sia perché il meridione d’Italia è stato fucina storica di momenti rivoluzionari ma, soprattutto, in considerazione che la questione meridionale è sempre più questione mediterranea ed attiene alle modalità dello sviluppo diseguale e combinato del capitalismo della nostra epoca. Un attenzione, quindi, ai temi specifici di tale questione/contraddizione ma anche alle possibilità di rottura politica e sociale che possono innervarsi attorno a tali contesti sociali e materiali.
A tale proposito si è notato come, mentre in Germania, al centro dell’imperialismo europeo, lo Stato nazionale rafforza la propria unità, in Italia alla periferia dell’Europa tale unità tende ad allentarsi e non ha più senso per il Meridione mettersi a correre sul piano economico e della concorrenza – come suggeriscono i meridionalisti borghesi - per raggiungere l’Italia del Nord.
Si tratta invece di lottare ed alludere ad un nuovo modello di sviluppo assieme ai popoli degli altri paesi del Mediterraneo favorendo il confronto,lo scambio di esperienze e il coordinamento delle forze politiche, sociali e sindacali in campo.
Non poteva – trovandoci a Bagnoli e discutendo con compagni in prima fila nelle mobilitazioni contro la manomissione economica ed ambientale di questa area della metropoli partenopea – non affrontare il tema della relazione con le istituzioni locali su alcuni aspetti ed obiettivi delle Vertenze in atto.
La valorizzazione, quindi, di esperienze come quella dell’Assemblea Popolare di Bagnoli che, nell’ambito della sua azione contro il complesso dell’attacco del governo e dei poteri forti verso l’area di Bagnoli/Coroglio è in grado di dialettizzarsi – con un approccio autonomo e indipendente – con l’opposizione che dal versante istituzionale l’amministrazione comunale di Napoli sviluppa contro Renzi e i deliberati antisociali del decreto Sblocca/Italia. Ma anche, restando a questo argomento specifico, uno sprono affinché, nella dinamica concreta della lotta siano chiamate a responsabilità tutti i livelli delle articolazioni politiche ed istituzionali coinvolte (a partire dal ruolo demagogico ma in sintonia con i provvedimenti del governo Renzi incarnato dalla Regione Campania).
Concludendo questo report possiamo osservare che la discussione è stata polifonica, a volte, inevitabilmente, semplicistica per i tanti temi trattati ma possiamo ritenerci – come Rete dei Comunisti – soddisfatti di aver socializzato ed allargato un confronto che valutiamo essenziale per una funzione agente di una soggettività comunista organizzata che non voglia limitarsi alla mera ed inefficace testimonianza. Continueremo, con questa attitudine, a sollecitare il confronto e, soprattutto, la sinergia politica tra militanti, a partire dalle mobilitazioni già in campo, le quali necessitano del contributo teorico, politico e culturale dei comunisti.
Italo Nobile