L’Unione Europea – al di là della mistificante patina democratica con cui si ammanta - ha mostrato, ancora una volta, il suo volto dispotico ed autoritario. A Lisbona le destre obbedienti alla Troika, dopo la recente tornata elettorale non hanno i numeri per governare, ma con un colpo di mano il presidente Cavaco Silva rifiuta di concedere l’incarico di formare un esecutivo delle sinistre al leader dei socialisti, che pure può contare sul sostegno del Bloco de Esquerda e del Partito Comunista, e impone un governo di minoranza fotocopia di quello uscito sconfitto dalle urne.
Un colpo di stato istituzionale bello e buono compiuto dal capo dello Stato sotto dettatura della Troika e dei mercati. Cavaco Silva lo rivendica esplicitamente: "In 40 anni di democrazia, nessun governo in Portogallo è mai dipeso dall'appoggio di forze politiche antieuropeiste...che chiedono di abrogare il Trattato di Lisbona, il Fiscal Compact, il Patto di Crescita e di Stabilità...che vogliono portare il Portogallo fuori dall'Euro ... e dalla Nato".
Come se non bastasse aggiunge: “dopo tutti gli importanti sacrifici fatti nell’ambito dell’accordo finanziario, è mio dovere, ed è entro le mie prerogative costituzionali, fare tutto il possibile per impedire che vengano mandati falsi segnali alle istituzioni finanziarie e agli investitori internazionali”.
Ciò nonostante il fatto che PCP e BE, pur di estromettere la coalizione di destra dal governo, per allearsi con i socialisti (partito che costituisce l’”ala sinistra del sistema”, come, ad esempio, gli omologhi spagnolo e francese) abbiano assai smussato le parti del loro programma che contestano frontalmente le compatibilità dettate dalla troika (uscita dall’UE e della NATO nel caso del PCP, rinegoziazione del debito pubblico), facendo pensare che, in ogni caso, un “governo delle sinistre” rischierebbe di rappresentare una riedizione della triste parabola del primo governo Syriza-Anel.
Cancellati, quindi, volontà popolare, rappresentanza, democrazia senza infingimenti e senza scrupoli in nome del mantenimento del cosiddetto pilota automatico, dell’applicazione cieca dei provvedimenti riservati al paese dall’Unione Europea e dalla centralità degli interessi della nuova borghesia continentale.
Alla luce di ciò sta accadendo in Portogallo - di nuovo - l’Unione Europea si mostra per quello che è, una gabbia, anzi una morsa contro i popoli e contro ogni anelito di emancipazione e di alternativa.
Tali avvenimenti mostrano, inequivocabilmente, la fondatezza concreta di quelle interpretazioni – tra cui quella che avanziamo come Rete dei Comunisti – circa l’irriformabilità e l’impossibilità di democratizzare l’impianto europeo esistente.
Un vero e proprio moloch contraddistinto da una matrice autoritaria non di tipo momentaneo ma che assume un profilo costituente e fondante al quale non si può che rispondere lavorando per l’accumulo delle forze politiche e sociali verso una sua esplicita rottura.
Un obiettivo, va detto chiaramente, che non sembra andare per la maggiore tra le forze della sinistra radicale europea e neanche negli spezzoni maggioritari dei settori sociali che pure contestano l’austerity, le privatizzazioni e i licenziamenti.
Questi ambienti, pur con varie accentuazioni, non sembrano ancora in grado di legare le singole vertenze e le singole rivendicazioni ad un programma politico complessivo di rottura non solo nei confronti di un particolare corso politico vigente, ma del complesso dei meccanismi – coercitivi e blindati - che informano il processo di integrazione e di gerarchizzazione imperialista in atto in Europa.
In Spagna Podemos ha progressivamente moderato le sue rivendicazioni ed attenuato la critica nei confronti dell’Unione Europea. Sempre più questa formazione punta ad attirare il voto delle classi medie che si sentono tradite dalla corruzione e dalla mala gestione della cosa pubblica da parte dei partiti tradizionali senza, però, mettere in discussione il ‘modello’ istituzionale e sociale che genera queste politiche. Podemos compete con i socialisti lo stesso spazio politico obbligando paradossalmente il Psoe - uno dei partiti socialisti più liberisti del continente - a rispolverare slogan di sinistra abbandonati ormai dall’inizio degli anni ’80. Mentre Podemos sembra aver già esaurito la sua ‘spinta propulsiva’ e difficilmente rappresenterà un elemento di particolare disturbo all’interno del nuovo parlamento, il quadro complessivo sembra evolvere verso una ricomposizione, con l’irruzione sulla scena dei liberali di Ciudadanos, partito ‘nuovo’ e quindi appetibile ma perfettamente in linea con la tradizione politica imposta al paese dall’autoriforma del franchismo.
In questo quadro l’unico elemento di rottura sociale e politica, con forti elementi di opposizione e antagonismo ai diktat dell’Unione Europea, viene dal contesto catalano dove si annuncia un duro scontro con il centralismo di Madrid sul conseguimento dell’indipendenza.
In Grecia le sinistre e i movimenti politici, sindacali e sociali che contestano l’Ue e che mettono in discussione apertamente la permanenza del paese all’interno della gabbia europea sono alle prese con il comprensibile riflusso generato nei settori sociali e tra gli attivisti politici e sociali da quello che scorrettamente molti considerano un “tradimento” da parte di Syriza. Questa formazione ha in realtà portato a compimento processi rinunciatari e compatibilisti connaturati alla sua genesi e alle forze maggioritarie che ne hanno determinato la nascita. Il partito di Tsipras è il prodotto di un equivoco di fondo che pare essere ancora molto radicato nei settori sociali: l’illusione che si possa, a partire da una vittoria elettorale e dalla formazione di un governo di sinistra, imprimere una sterzata all’impianto complessivo delle politiche europee, mandando in soffitta austerity e tagli.
Una nefasta utopia che, come abbiamo ribadito già in altri nostri interventi, è anche il prodotto di una forte egemonia culturale esercitata dall’Unione Europea e dai suoi diversificati dispositivi di governance.
Il feroce trattamento riservato l’estate scorsa ad Atene – obbedite o vi stritoliamo – e l’incapacità del governo Tsipras di rispondere con una opposizione vera a questa sfida dei poteri forti continentali stanno lì a dimostrare l’assoluta assenza di una base materiale a sostegno dell’ipotesi riformista messa in campo da Syriza e da buona parte delle realtà della sinistra europea, più o meno radicale.
L’assenza di un’analisi adeguata e il rifiuto – oggettivo e soggettivo - da parte di gran parte di questa pure composita sinistra radicale di guidare una seria battaglia per la rottura dell’Unione Europea, per il rifiuto della moneta unica e per la creazione di un nuovo modello solidale di integrazione tra popoli – partendo dall’elemento dove la contraddizione è più forte, cioè i Piigs – continua a lasciare campo libero a pulsioni e movimenti di destra e populisti.
Queste formazioni contestano il progetto di integrazione sovranazionale europeo, ma a partire da punti di vista xenofobi ed egoistici e sulla base degli interessi di ceti sociali – si pensi al blocco berlusconiano - che allo stritolamento da parte del progetto imperialista europeo rispondono accentuando il proprio sciovinismo, le pulsioni isolazioniste e le derive nazionaliste.
La recente vittoria di Diritto e Giustizia in Polonia, dell’ex partito di Haider in Austria e dell’Udc in Svizzera sono la dimostrazione patente di quanto l’irresponsabile europeismo delle forze maggioritarie della sinistra produca danni non solo sul versante dei risultati elettorali ma – soprattutto – nel corpo sociale e nelle fila dei settori popolari della società.
Osservando gli esiti di questa tornata elettorale in molti paesi europei emerge la difficoltà di enucleare una posizione di classe che contesti fortemente l’Unione Europea, l’Euro, la Nato ed il complesso degli strumenti politici, economici e militari con cui si configura il polo imperialista europeo.
L’inanità teorica e pratica di ciò che residua della sinistra è lo specchio di una sostanziale inadeguatezza, da parte di questi settori, di cogliere le avvenute trasformazioni del capitalismo continentale e di quello delle singole nazioni in un quadro di accentuata competizione globale internazionale.
La Rete dei Comunisti la quale, come è noto, ha da tempo avanzato, in un quadro internazionale ed internazionalista, la parola d’ordine della Rottura dell’Unione Europea e della costruzione di un ALBA Euro/Mediterranea è impegnata, nell’intero spazio continentale, a costruire tutti i possibili ambiti di confronto, discussione e di attiva mobilitazione contro questa nuova soglia politica e statuale della borghesia continentale.
La RdC è parte dello schieramento EUROSTOP (www.eurostop.info) il quale, da alcuni mesi, agisce in vari paesi organizzando le forze politiche e sociali che vogliono coordinarsi ed unirsi nella comune battaglia contro l’Unione Europea e l’Euro.
Dopo vari incontri tenutesi in Spagna e Grecia il prossimo 21 novembre – a Roma – EUROSTOP organizzerà un importante meeting per fare un punto politico collettivo e per rilanciare la mobilitazione a scala sovranazionale.
Un appuntamento a cui chiamiamo tutti coloro i quali, negli anni che stanno alle nostre spalle, in Italia come altrove, hanno alimentato lotte e conflitti contro l’austerity e contro i vari aspetti delle politiche antisociali della Unione Europea.
Rete dei Comunisti