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Abbattere la rassegnazione, uscire dall’Unione Europea

In vista delle elezioni europee impazzano i sondaggi filo europeisti, alcune riflessioni sono comunque da fare prendendo con le dovute cautele i vari e discordanti risultati.

 

Non può sorprenderci che nella stampa italiana, sempre schierata a favore delle virtù dell’Unione Europea, in vista delle prossime elezioni europee si dia largo spazio ai sondaggi, commissionati dalle stesse testate giornalistiche, sugli umori e le tendenze degli italiani rispetto al tema generale dell’integrazione europea, la fiducia nelle istituzioni comunitarie e nella sua moneta unica.

Tutti a cercare, nella crescente e palpabile disillusione, segni di fiducia o almeno di rassegnazione a ciò che è descritto come inevitabile. L’ultimo sondaggio dell’Istituto Piepoli per il quotidiano La Stampa ne è un esempio, dove il 59% è favorevole alla “Europa unita”, e qui già avremmo da criticare che “Europa unita” è cosa ben diversa da “Unione Europea” (come è ben specificata UE in altre domande dello stesso sondaggio). Come avremmo da criticare che riguardo alla domanda sulla moneta si parli sempre, come anche in altri sondaggi, di accettare l’Euro o di ritornare alla Lira, ogni altra opzione è negata in partenza. Una questione di correttezza se non politica almeno professionale, ma peraltro basti pensare che stiamo parlando di un sondaggio con un campione di sole 500 persone (con metodo CATI, cioè con le telefonate a casa).

Se questi sono i risultati per l’Istituto Piepoli altri e differenti dati, neppure un mese fa, trovavamo invece su La Repubblica (sondaggio Demos, sempre metodo CATI, realizzato su un campione di 1000 interviste valide su circa 5000 tentativi, dei quali evidentemente 4000 andati a vuoto): qui troviamo conferma della linea editoriale con un titolo ad effetto “Noi italiani, delusi ma non scettici, crediamo nella UE nonostante tutto”. Almeno nel titolo specificano la UE e non la geografica o popolosa Europa, ma il titolo “euro fiducioso” non si adatta al risultato del sondaggio dove alla domanda “quanta fiducia prova nei confronti dell’Unione Europea” gli entusiasti passano dal 56.8% nel 2000 al 33.5% di un mese fa. Sicuramente un crollo evidente e ci viene da pensare che l’ultimo sondaggio dell’Istituto Piepoli sia stato forse fatto quattordici anni fa. Anche qui troviamo riguardo alla moneta la scelta senza alternative tra euro e lira e l’inevitabilità dell’euro convince circa il 70% degli intervistati. Altra conferma è che l’elettorato di centrosinistra è sempre, e nonostante tutto, il più europeista dello spettro politico.

Più interessante l’ultimo sondaggio commissionato dallo stesso Parlamento Europeo (Eurobarometro) non tanto per la diversa metodologia (interviste faccia a faccia ma sempre su un campione nazionale di circa 1000 persone) ma per la specificità di alcune domande sul futuro assetto dell’Unione Europea. Da una parte abbiamo un giudizio negativo sugli effetti dell’UE (solo il 36% ritiene sia stato vantaggioso l’ingresso e la permanenza dell’Italia nella UE) e una sfiducia complessiva verso le attuali istituzioni europee, superata solo dalla sfiducia verso le istituzioni nazionali. Dall’altra si registra un forte consenso verso l’ipotesi di elezione diretta di un “presidente europeo” (Presidente della Commissione europea) come recupero della legittimità politica persa o mai avuta nelle sedi parlamentari continentali.

Sarebbero tante le riflessioni possibili e in un certo senso anche azzardate su tali sondaggi, ma si possono trovare delle indicazioni e conferme su alcune tendenze e su nodi politici da affrontare e sciogliere.

La prima è che nonostante gli sforzi di persuasione da parte della quasi totalità dei mezzi di informazione, il sogno europeista si è infranto sugli scogli della crisi e delle politiche di austerity imposte in maniera sempre più evidente dalla UE e dalla troika; che tali effetti “materiali” siano meno sentiti “a sinistra” dove troviamo il blocco più filo europeista è un effetto spiegabile nella composizione sociale dell’elettorato, dall’egemonia del PD e dalla presenza di suoi satelliti che sono per eccellenza lo schieramento più europeista. Ma anche nella devastazione culturale e politica di quel “popolo della sinistra” che si attarda comunque nel considerare l’Unione Europea come un orizzonte di emancipazione rispetto alle anomalie italiane, e qui ritornano i danni procurati dal ventennio antiberlusconiano e dall’assenza di una vera analisi sulla natura imperialista del processo di costituzione della UE.

La seconda è che in campo ci sono altre “soluzioni” della crisi di credibilità politica della UE: una è senz’altro quella di destra e nazionalista sempre più evidente nel resto del continente, l’altra è invece una soluzione funzionale al processo di accentramento politico finanche presidenzialista orientato alla nascita degli Stati Uniti d’Europa, come si può evidenziare sia dalle domande e sia dalle risposte al sondaggio dell’Eurobarometro.

La terza riguarda la necessità di una inchiesta di classe, indirizzata e finalizzata all’azione politica di ricomposizione di un blocco sociale antagonista che può essere coscientemente orientato sul nodo della rottura e della fuoriuscita dalla UE: fuori da retoriche solo astrattamente internazionaliste non si può rimuovere il dato di fatto che le politiche di massacro sociale e gli effetti concreti dei “lavori in corso” nella realizzazione di nuova divisione internazionale del lavoro (tra i paesi centrali e nordici, i PIIGS, Europa orientale e Mediterraneo) non sono omogenee all’interno dell’eurozona e hanno impatti economici, sociali, ideologici e politici diversificati e sfasati nel possibile blocco sociale e nelle potenzialità di essere o meno soggettività capace di partecipare alla riorganizzazione del conflitto e dell’identità non solo sul piano sociale ed economico ma soprattutto su quello politico e strategico.

La quarta è che la sfiducia, come le espressioni di rabbia, verso l’Unione Europea rimane come inattiva e paralizzata nella percezione dell’inevitabilità di un “comune” destino monetario e non solo: una sorta di “indietro non si torna” rispetto all’Euro e alle dinamiche imposte dalla competizione internazionale. C’è la crescente percezione che si è sul Titanic ma si ignora di avere a disposizione alcune scialuppe di salvataggio. E’ un terreno politico e culturale che necessita di un credibile ribaltamento dell’attuale subordinazione “di massa” di ogni soluzione politica rispetto alla inevitabilità delle “leggi” dell’economia. Un problema che  deve essere affrontato di petto e risolto, non serve eluderlo come non servono alchimie monetaristiche: lo scontro si impone come prettamente politico.

La proposta di uscire da una irriformabile Unione Europea può avere la capacità di rompere, meglio di quello che si sta già facendo a destra, la rassegnazione di massa che si accompagna alla sfiducia: una sfida di egemonia praticabile con coraggio; di questo e della costruzione di una possibile area economica alternativa parleremo al Forum Euromediterraneo promosso dalla Rete dei Comunisti nel prossimo 30 novembre e primo dicembre a Roma.

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