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Verità e giustizia per Slobodan Milosevic. Le ignominie del Tribunale Internazionale dell’Aja e della democrazia imperialista

Apparentemente sembra una di quelle classiche notizie di mezza estate che servono per riempire lo spazio dei giornali e dei notiziari. Invece la notizia – che “stranamente” solo ora trova un po’ di spazio sui media – è un fatto di rilevante importanza.

 

L’ex Presidente della Serbia, Slobodan Milosevic, è stato scagionato dalla Corte Penale Internazionale per i cosiddetti crimini di guerra per le varie fasi delle guerre balcaniche degli anni ’90. Una decisione che ribalta completamente un allucinante castello accusatorio che per alcuni anni ha tenuto banco nel dibattito politico internazionale. Eppure Slobodan Milosevic è stato lasciato morire in carcere – nel marzo del 2006 – dopo cinque anni di detenzione, senza poter usufruire di nessun beneficio, in una asettica cella del “democratico” tribunale dell’Aja in Olanda alla stregua di un volgare ed efferato criminale. Una sorte che – a dimostrazione che la storia la scrivono i vincitori – che non fu replicata ed uguale per i presidenti di Croazia e Bosnia i quali – almeno formalmente – venivano ritenuti corresponsabili delle presunte malefatte di Milosevic mentre, in realtà, erano le teste d’ariete dell’aggressione della Federazione Jugoslava. Questa “riabilitazione postuma” di Milosevic pur all’interno di un dispositivo giuridico e di una evidente falsificazione storica dei fatti che condanna, a pene pesantissime e discutibilissime, altri protagonisti della complessa vicenda Jugoslavia è una ulteriore prova - un altro tassello - che svela, inequivocabilmente, come la distruzione di quel paese fu pianificata scientificamente dalle potenze occidentali e dal Vaticano fino ai suoi esiti finali che prevedevano, fin dall’inizio, l’eliminazione del Presidente Milosevic descritto – dalla comunicazione deviante del capitale a scala globale – come l’incarnazione personificata del male assoluto. Non è un caso – poi – che altri oppositori al generale rullo compressore imperialista acceleratosi dopo il 1989 - da Saddam Hussein a Gheddafi - hanno conosciuto la morte fisica, senza neanche lo straccio di un processo, anche sulla scorta della sostanziale impunità che gli aggressori occidentali hanno usufruito prima, durante e dopo le ripetute aggressioni consumate contro i popoli della Jugoslavia. Ora, dopo anni, questa notizia non suscita più l’indignazione e lo sdegno di cui necessiterebbe una sentenza di tale portata storica. Gli ultimi 20 anni sono stati un periodo di grande sconvolgimento internazionale dove l’accentuarsi della competizione globale tra potenze e il suo combinato disposto con la vigenza di una crisi strutturale del capitale ha provocato e continua a suscitare guerre d’aggressione, distruzione di entità statuali, movimenti migratori e inenarrabili sofferenze. Un arco storico in cui è cresciuto l’interventismo bellico imperialista spesso camuffato o dalle insegne dell’ONU o da motivazioni “umanitarie”. Una nuova fase di militarismo imperialista che si alimenta di una propaganda distorta che tende alla persuasione delle coscienze, all’intruppamento reazionario dei settori sociali verso il proprio capitalismo di riferimento ed alla passivizzazione/narcotizzazione delle masse. Da comunisti abbiamo difeso, più volte, la Jugoslavia mentre veniva attaccata militarmente dagli USA e da altri paesi europei. Mai dimenticheremo l’infamia di Massimo D’Alema alla guida di quel governo che mandò i Tornado italiani sui cieli di Belgrado e della Jugoslavia a fare stragi di civili. Nel contempo abbiamo criticato Milosevic per la sua difesa incoerente dell’unità e della fratellanza dei popoli Jugoslavi attesta attorno alla “centralità dei serbi” e non invece - come il Presidente Tito magistralmente era stato capace di fare - a scala “pan/Jugoslava” in un possibile e corretto equilibrio politico e sociale tra le varie “repubbliche” che componevano quella Federazione nata da una vera guerra di popolo contro l’occupazione nazista e fascista. Una incoerenza, quella di Milosevic e del Partito Socialista Serbo, nutrita, tra l’altro, da primi cedimenti sul versante economico verso il liberismo capitalista e le ricette del Fondo Monetario Internazionale foriera di disastri. Una autentica deriva che aprì la strada all’opera di manomissione economica, diplomatica e militare dell’Occidente che -subito dopo la morte di Tito e i fatti del 1989/1991 - conobbe un nuovo slancio antisociale in Jugoslavia come altrove. La notizia - venuta alla luce in questi giorni anche se la sentenza risale al 24 marzo scorso - ci ha offerto la possibilità di ricordare il vero e proprio omicidio di Slobodan Milosevic e di richiamare, ancora una volta, l’attenzione e la critica attiva verso la cosiddetta neutralità del diritto internazionale e delle sue “istituzioni democratiche” tra cui il famigerato Tribunale Internazionale dell’ Aja. Una attenzione ed una critica da rendere – anche alla luce dell’inasprirsi delle contraddizioni sul piano generale e dei venti di guerra che spirano minacciosi – prassi agente per attrezzare, anche sul terreno dei contenuti politici, il lavoro di ricostruzione e di riqualificazione del movimento No War.

Michele Franco, Rete dei Comunisti

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