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4 dicembre: la posta in gioco

Nonostante il 90% dei media italiani siano sfacciatamente schierati a favore del Si, nonostante l’occupazione permanente delle reti televisive - pubbliche e non - da parte di Matteo Renzi e dei suoi, nonostante il terrorismo psicologico sparso a piene mani dai promotori della controriforma costituzionale – “se vince il No torna l’instabilità” – anche gli ultimi sondaggi, per quello che valgono, continuano a dare il No fortemente in vantaggio nel voto del 4 dicembre prossimo.

Non solo. Negli ultimi giorni giornali ed esponenti politici anche interni alla maggioranza hanno cominciato esplicitamente a dare per scontata la loro sconfitta, cominciando a citare i possibili scenari che si apriranno dopo la sconfitta del tentativo renziano di peggiorare una Costituzione del resto mai veramente applicata. 
E’ il segno che la propaganda becera e a buon mercato del Presidente del Consiglio non convince più, che una parte dell’opinione pubblica comincia a far prevalere il dato reale – il peggioramento delle condizioni di vita negli ultimi anni è innegabile - sulle sovrastrutture di tipo ideologico alimentate ad arte dall’imbonitore di Firenze. La distanza tra gli apparati ideologici dello stato e la società è ormai consistente.
Del resto la crisi di egemonia e di prospettiva delle borghesie occidentali, manifestatasi dapprima nella vittoria della Brexit a Londra e poi in quella di Trump negli Stati Uniti, non poteva certo risparmiare quel Matteo Renzi che, come un coniglio dal cilindro, era stato letteralmente inventato dall’establishment italiano e da quello dell’Unione Europea per tenere la situazione sotto controllo nel nostro paese.
Se secondo un recentissimo sondaggio il 98% dei top manager italiani che lavorano per le 100 aziende più grandi e influenti voteranno Si nel referendum costituzionale, gli umori popolari sono assai diversi, spesso opposti. Nonostante gli errori e l’immobilismo dei comitati ufficiali per il No – che continuano ad affrontare una battaglia tutta tecnicistica e politicista, dimostrando spesso un conformismo ed un conservatorismo che nulla ha da invidiare al fronte avversario – e la cooptazione da parte del fronte renziano di ‘eminenti’ esponenti del cosiddetto fronte progressista, da Cuperlo a Pisapia, nel paese si moltiplicano le iniziative del “No sociale” e della Piattaforma Sociale Eurostop, del sindacalismo di classe e indipendente, di realtà territoriali e politiche che hanno ben compreso che in ballo il 4 dicembre non c’è solo uno scontro sul Senato o sui ‘costi della politica’, ma che la posta in gioco è molto più alta e generale. Una posta in gioco per la quale occorre battersi seguendo il percorso iniziato lo scorso 21 e 22 ottobre con due giornate di mobilitazione generale che ha coinvolto forze sociali, sindacali e politiche che hanno ben individuato la controparte da battere: l’Unione Europea, i suoi diktat autoritari e antipopolari, lo smantellamento di una impalcatura costituzionale che i poteri forti considerano oggi un chiaro ostacolo al perseguimento dei propri interessi.

A chi sottovaluta l’importanza della battaglia per il No agitando da sinistra lo spettro di un ennesimo regalo alle forze di destra, occorre rispondere che sono l’ambiguità e l’inanità delle cosiddette forze progressiste ad aprire una strada, anzi un’autostrada all’affermazione delle realtà xenofobe e razziste che strumentalizzando la battaglia contro l’Unione Europea e i suoi disastri occupano uno spazio lasciato colpevolmente libero. Il 4 dicembre occorre non solo sconfiggere il putsch autoritario di Matteo Renzi, degli ambienti padronali e dei poteri forti italiani ed europei, ma far pesare anche una prospettiva di rottura sociale e politica rispetto ad una gabbia – l’Unione Europea – che se vincerà il No avremo contribuito ad indebolire in maniera consistente.


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