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Job act e disoccupazione: c’è bisogno di una risposta di lotta generalizzata

La diffusione dei dati statistici circa l’impennata del numero dei disoccupati (http://www.contropiano.org/economia/item/21373-disoccupati-come-nel-77-urge-rivolta) mostra con evidenza come una delle conseguenze di questo scorcio della crisi capitalistica riguarda, immediatamente, la condizione materiale di milioni di persone tra cui un gran numero di giovani e giovanissimi.

Nonostante la comunicazione deviante dei media continua ad accreditare l’idea che oramai la crisi economica sarebbe alle nostre spalle e nonostante i poteri forti nazionali e continentali coltivino l’illusione di una possibile ripresa economica a breve tempo, la dura realtà della materialità delle condizioni di vita e di lavoro di gran parte della popolazione ci mostra come sia proprio l’occupazione uno dei punti critici con cui milioni di persone sono costrette a misurarsi quotidianamente.

Intanto dal punto di vista del versante istituzionale si registra il solito balbettio legislativo e normativo che caratterizza, da tempo, l’attività del Governo Letta e prima di quello Monti.

Assistiamo, infatti, all’assenza di provvedimenti di carattere strutturale in materia di lavoro, all’incertezza salariale e di prospettiva per ancora qualche decina di migliaia di cosiddetti esodati, all’indeterminatezza circa la garanzia contabile delle cifre che afferiscono al pagamento della rate della cassa integrazione ed al blocco contrattuale, da alcuni anni, per i pubblici dipendenti.

Le uniche novità sostanziali provengono dal nuovo segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, il quale sta tentando di sparigliare il paludato dibattito su queste tematiche attraverso la proposta del Job Act la quale, al netto della demagogia che accompagna questa boutade, si configura come un ennesimo atto del percorso di deregolamentazione ulteriore del mercato del lavoro e di blindatura autoritaria delle relazioni sociali e sindacali.

Del resto, da tempo, numerosi settori del padronato, particolarmente quelli più esposti alle insidie della competizione internazionale chiedono, a gran voce, interventi strutturali capaci di valorizzare al meglio i meccanismi dell’accumulazione flessibile su cui fondono la loro capacità produttiva. E non è un caso che i migliori apprezzamenti a questa proposta stanno arrivando da Confindustria, da Cisl e Uil, da Ichino e dal Commissario al Lavoro all’Unione Europea.

Rispetto al quadro statistico e materiale che viene configurandosi non registriamo, al momento, significative reazioni che lascino prevedere, a breve, una risposta generalizzata all’altezza della sfida che i poteri forti del capitale stanno dispiegando.

Troppi e devastanti sono stati i danni che ha causato una linea collaborazionista e complice – incarnata prevalentemente sul piano sindacale da Cgil, Cisl e Uil e sul versante politico da una sinistra sempre più integrata nelle compatibilità del mercato – la quale ha minato alla base qualsivoglia possibilità di ripresa di un movimento di lotta generale contro il complesso delle politiche economiche e sociali del governo e del padronato tutto. 

 

Se ricominciassimo a discutere di Reddito/Salario garantito

E’ evidente che quando commentiamo i dati sulla disoccupazione di massa non possiamo alludere, in nessun modo, ad un prossimo scenario di piena occupazione. Neanche una improbabile ripresa economica e neanche un impossibile revival neo/keynesiano sarebbero in grado di determinare una crescita esponenziale e di massa dell’occupazione. Inoltre esiste una fascia generazionale – specie quella collocata a cassa integrazione o in mobilità – la quale per motivi anagrafici è fuori da ogni futuribile nuovo progetto di occupazione.

A fronte di questo scenario occorre un sussulto politico vero.

Il rilancio della battaglia culturale e politica per il Reddito/Salario Garantito la quale può, a determinate condizioni, contribuire a costruire quella necessaria controtendenza sociale al costante depauperamento delle condizioni di vita dei ceti popolari è un passaggio che può auspicarsi in questa congiuntura.

Negli anni scorsi è andata materializzandosi una pesante lotta di classe, dall’alto verso il basso, che ha costretto al ripiegamento e all’inalveamento sociale anche quelle iniziative di mobilitazione e di lotta (dalla May Day alle varie mobilitazione delle reti di movimento) che, comunque, avevano garantito, nel recente passato, la permanenza di una attenzione e di un discreto protagonismo conflittuale a partire dalla principali aree metropolitane del paese.

Una rimozione di cui è stata complice l’azione della sinistra e del sindacato collaborazionista i quali, in ossequio al loro corso storico e politico, hanno sempre negato il valore sociale e ricompositivo di una battaglia (quella per il Salario Garantito) che puntasse, anche tendenzialmente, alla ricomposizione dei diversi soggetti coinvolti e frammentati dalle svariate modalità con cui si articolano le forme del moderno sfruttamento capitalistico.

Naturalmente, in questo contesto, una ripresa di una Vertenza per il Reddito/Salario avrebbe il compito di demistificare tutte quelle insidie (tra cui, alcune, contenute anche nelle anticipazioni del Job Act) che, come è accaduto anche all’epoca della vigenza del Ministro Fornero, tendono ad accreditare, nelle pieghe della proposta, una parvenza di cosiddetto Reddito di inserimento (o di povertà!) in chiave corporativa, non universalistica e pesantemente differenziante.

In un contesto simile emergerebbero, con brutale nettezza, tutti i tratti della desolidarizzazione tra lavoratori, di frammentazione tra le varie figure sociali e di contrapposizione tra giovani e vecchi, tra garantiti e precari, tra disoccupati e immigrati. Una pericolosa deriva verso una scomposta competizione al ribasso totalmente a vantaggio del profitto e del dominio totale del capitale sul mercato del lavoro.

Ritorna, quindi, la necessità di una battaglia culturale, politica ed organizzativa da sedimentare, territorio per territorio, in sinergia con le altre esperienze in via di esemplificazione (la vertenza per il diritto all’abitare, le battaglie contro la devastazione ambientale, alcune vertenze sindacali simbolo) le quali, se ben connesse tra loro, possono delineare quella nuova stagione della confederalità sociale di cui, tutti, avvertiamo la maturazione per ricostruire quel legame vero ed espansivo con i settori di classe ovunque collocati.

Un auspicio di questo tipo può trovare nell’orizzonte politico della mobilitazione per Rompere l’Unione Europea il suo naturale insediamento politico sia nei confronti degli avversari che rispondono al nome della Trojka e della Banca Mondiale Europea e sia nelle interlocuzioni/alleanze possibili con i movimenti di lotta e i soggetti sociali colpiti dalla crisi.

Messaggio della Rete dei Comunisti al congresso del Pcl

Cari compagni e care compagne
non potendo portare di persona il nostro saluto al terzo congresso del Partito Comunista dei Lavoratori vi inviamo un fraterno saluto e alcune brevi considerazioni.

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ROSS@ vive a Napoli ed in Campania già da alcuni mesi con iniziative e discussioni tra compagne e compagni, provenienti da varie esperienze politiche e sindacali.

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