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L'alternativa prevede la rottura. Il Collision Fest indica percorsi

Le tre giornate del Collision Fest di Roma sono state indubbiamente significative oltre che partecipate.  I tre momenti di discussione – quello sul cinquantennale del ’68, il dibattito internazionale sulla proposta dell’area alternativa euromediterranea e il meeting sulla condizione giovanile nella crisi – hanno fissato fuori da ogni retorica un’agenda politica di questioni all’ordine del giorno. 

Il teatro civile sulle periferie e il concerto di Donatella Rettore – che ha messo insieme generazioni distanti e diverse – hanno contribuito a creare quel clima di festa che ha aiutato la riuscita complessiva dell’evento, anche sul piano economico.

Organizzato dalla Rete dei Comunisti e dalla campagna Noi Restiamo, il Collision Fest ha ospitato la tavola rotonda sul ’68 con Franco Piperno, Oreste Scalzone e Paolo Pietrangeli introdotti da Mauro Casadio della RdC. Nessuna concessione all’Amarcord ma un tentativo continuo di cogliere il carattere di rottura del ’68 (non rivoluzionario ma sicuramente dirompente), una rottura che, secondo Franco Piperno, ha investito anche e soprattutto il senso comune di quegli anni, creando nuove comunità e dando vita a quella contaminazione tra studenti e giovani operai meridionali emigrati al Nord che furono la miscela esplosiva del movimento del ’68 prima e dell’autunno caldo del ’69. Una rivolta contro il senso comune ma anche contro “i tempi scanditi dalla fabbrica” ha sottolineato Piperno. Non c’è stato un “solo ‘68” ha affermato Oreste Scalzone ricordando le rivolte universitarie negli Usa – dove c’era la guerra in Vietnam ma anche la coscrizione obbligatoria – gli Zengakuren giapponesi, il maggio francese, la critica ai filosofi francofortesi in Germania e poi il ’68 italiano che è durato più a lungo di tutti gli altri. Per Scalzone il dato comune “dei ‘68” è stato soprattutto l’antiautoritarismo. Sia Casadio che Piperno e Scalzone hanno convenuto che quel movimento fu anche il risultato della possibilità di accesso all’università degli studenti proletari (anche i diplomati degli istituti tecnici si poterono iscrivere all’università)., un dato che ha sconvolto la composizione sociale del mondo studentesco dell’epoca. Oreste Scalzone ha voluto però rompere anche il mito del ’68 come movimento non violento e dei buoni rovinato poi dai cattivi (la tesi preferita di ex sessantottini come Paolo Mieli) ed ha replicato alla tesi esposta da Piperno su un ’68 non rivoluzionario. Paolo Pietrangeli, autore di canzoni memorabili come Contessa (del 1966), Valle Giulia (’68), Mio caro padrone domani ti sparo (anni successivi), l’ha rivisitato attraverso una serie di aneddoti nel mondo della produzione culturale di quell’anno, inclusa la soluzione del mistero se Bob Dylan avesse mai suonato o meno al Folk Studio di Roma (ed è stato accertato che Bob Dylan non ha mai suonato al Folk Studio).

Il dibattito internazionale sull’area alternativa euromediterranea ha visto invece la partecipazione di Mireia Vehì, ex deputata della Cup della Catalogna, di Bénédicte Monville (France Insoumise), di Lur Gil Rey di Askapena (Paese Basco), Sergio Cararo (Rete dei Comunisti) introdotti da Marco Santopadre (RdC). I compagni greci di Parenvasi, aderenti a Unità Popolare hanno inviato un messaggio che è stato letto.

La discussione è stata molto interessante, soprattutto perché i compagni presenti hanno rappresentato esperienze “sul campo” concrete e importanti, basta pensare al referendum in Catalogna, ai risultati di France Insoumise nelle presidenziali francesi o al percorso di resistenza e ricostruzione del movimento indipendentista basco dopo la fine della lotta armata in Euskadi. Sia Mireia Vehì che Lur Gil Rey hanno riconosciuto l’importanza della proposta in discussione e della necessità di cominciare a delineare una alternativa in Europa per le forze della sinistra, ma hanno anche sottolineato come nei movimenti popolari in Catalogna e Euskadi in passato fosse forte l’idea che l’Unione Europea potesse essere una sponda per le aspirazioni di indipendenza e di come invece questa si sia rivelata pesantemente una organizzazione imperialista, antidemocratica e antipopolare.

Benedicte Monville ha prima riassunto l’imponente ciclo di lotte in corso in Francia sia tra i lavoratori che tra gli studenti ed ha poi spiegato come France Insoumise, rompendo con le sclerotizzazioni e gli schemi della gauche, sia arrivata alla proposta di un Piano B che evoca la rottura dei Trattati Europei, il recupero della sovranità popolare e la fuoriuscita dalla Ue. Una posizione che ha sottratto alla destra l’egemonia sul problema della sovranità popolare e gli ha sottratto consensi nei quartieri operai e popolari dove invece la destra era in crescita negli anni precedenti. Sergio Cararo ha contestualizzato e riassunto i cinque punti su cui si articola la proposta di una area euromediterranea alternativa all’Unione Europea e indicato i piani di azione già in campo: campagna per il referendum contro i Trattati europei, sostegno alle lotte per la nazionalizzazione delle aziende strategiche (a partire da Alitalia e Ilva), lotta alla guerra e agli automatismi dei trattati militari come la Nato e la Pesco che trascinano il paese dentro aggressioni e conflitti contro altri popoli. Sul piano politico ha tenuto a sottolineare che “niente al di sotto del Piano B può diventare una proposta politica da prendere in considerazione per una forza di classe nel nostro paese”, un dibattito questo da fare anche con e dentro Potere al Popolo, che ha aderito anche al documento di Lisbona.

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