22/07 2014

Il nodo Ucraina

La relazione introduttiva che la Rete dei Comunisti ha svolto a due recenti assemblee di discussione pubblica organizzate a Napoli ed Aversa.

L’Ucraina è un paese delicato negli equilibri geo-politici della zona euro-asiatica. A partire da fine 2013-inizio 2014 è stata investita dagli sconvolgimenti politici e militari che conosciamo. Per capirne la base materiale occorre andare indietro nella storia. L’Ucraina, durante il periodo dell’URSS conobbe una fase di grande sviluppo delle forze produttive.

A partire dalla seconda parte degli anni ’30 divenne il granaio dell’URSS e conobbe, come tutto il paese, un grande sviluppo industriale. In seguito giocò un ruolo di primissimo piano nella lotta al nazi-fascismo e nel dopoguerra si riuscì a ricostruire l’apparato produttivo. Al momento della caduta dell’URSS, la Repubblica Socialista di Ucraina era la decima economia mondiale. L’industria si basava su produzioni ad alto valore aggiunto e ad alto contenuto tecnologico.

 

Ma già partire dalla perestrojka e dal caos cui questa diede luogo, iniziò un periodo di dismissione di tale apparato, che ebbe un’accelerazione con gli eventi del ’91 e la cosiddetta “indipendenza” del paese. La neo-nata borghesia ucraina operò l’accumulazione originaria mentre si attuavano le ricette catastrofiche di austerità che vennero imposte a tutta l’area ex-sovietica e si basò in maniera particolare l’industria leggera (non è un caso che l’attuale Presidente sia il proprietario di un grande marchio di cioccolato), poiché questo era il ruolo assegnato all’Ucraina nella nuova divisione internazionale del lavoro, che integrava l’Est Europa e la Russia. In conseguenza di ciò, la bilancia commerciale crollò, il paese si indebitò e divenne dipendente dalle importazioni di una molteplicità di prodotti. I settori legati all’estrazione di materie prime sopravvivono, ma sono essenzialmente legati all’esportazione e, comunque, scarsamente competitivi. A partire dall’inizio degli anni 2000, in conseguenza della situazione appena descritta, si sono delineati due “poli” all’interno della borghesia Ucraina: uno di plurimiliardari, già “attrezzato” per l’integrazione con il capitale imperialista europeo e un altro di capitalisti meno sviluppati che propugnano uno sviluppo “nazionale” o che, comunque, guardano ai capitalisti russi in maniera preferenziale.

 

Dallo scontro fra questi due poli (con tutte le sfumature intermedie del caso) sono scaturiti i vari conflitti politici che hanno attraversato il paese nell’ultima decina di anni e che hanno alternato fasi molto aspre, come la cosiddetta “rivoluzione arancione” a fasi di concertazione. Nel mentre, le condizioni della classe lavoratrice hanno sempre continuato a peggiorare con il progressivo smantellamento dei residui dello stato sociale sovietico.

 

Il Governo Yanukovic era espressione di questa situazione; nel 2004 era stato sconfitto dalla fazione filo-occidentale guidata da Yulia Timoshenko e Viktor Yushenko , poi aveva rivinto e i suoi avversari erano caduti in disgrazia. Negli ultimi anni aveva iniziato un lento avvicinamento all’Unione Europea, volto ad affrancare il paese dalla dipendenza energetica dalla Russia, tuttavia, lo scorso anno, stretto dalla situazione di grande indebitamento si è trovato di fronte alla scelta di quale finanziatore scegliere fra l’UE e la Russia. La proposta europea era di un finanziamento in cambio della firma di un trattato di associazione all’unione, il quale prevedeva (e prevede, visto che è stato firmato dal nuovo Presidente) le solite misure di austerità cui l’imperialismo europeo ci ha abituati, mentre la Russia non imponeva simili misure. In conseguenza di ciò, Yanukovic ha sospeso l’avvicinamento all’UE rifiutandosi di firmare il trattato proposto. A partire da questo evento sono scoppiate le proteste di Piazza Maidan.

 

Inizialmente erano molto ridotte numericamente e concentrate su obiettivi minimi, anche condivisibili, contro l’alto tasso di corruzione del Governo e contro la povertà diffusa.

 

Successivamente, i media ucraini di proprietà dei capitalisti fautori dell’integrazione con l’imperialismo europeo e statunitense hanno pubblicizzato la protesta in maniera martellante, condendola di slogan russofobi, di proclami contro la Russia e Putin e di richiami al nazionalismo sciovinista ucraino e ingrandendone le dimensioni. A questo punto, la situazione è progressivamente precipitata con l’entrata in “scena” degli due “attori”: l’imperialismo europeo, quello statunitense (in maniera esplicita e senza infingimenti e mediatori) e i vari gruppi paramilitari e partiti di stampo fascista, accanto a quelli “ufficiali” e storici filo-occidentali.

 

Fra questi ultimi i principali sono Udar (pugno), fondato dall’ex-pugile Vitali Klitshko, in possesso di doppia nazionalità ucraina e tedesca, con il supporto dei fondi della fondazione Adenauer della CDU tedesca, e Patria, partito della famosa Yulia Timoshenko, fino al febbraio scorso in carcere per reati di corruzione, molto legata agli USA. Poi c’è il Partito Svoboda, ex partito Nazional-Socialista Ucraino, formazione fascista rappresentata in Parlamento. Su tale partito hanno colpito le dichiarazioni di Schulz il quale, interrogato sul fatto che si tratti di un’organizzazione fascista, ha affermato che si tratta comunque di un soggetto politico con cui dialogare. Infine c’è PravjiSektor (settore destro), frutto della fusione di alcune organizzazioni paramilitari neo-fasciste pochi mesi dell’inizio di questi eventi, su cui vale la pena fare una breve digressione. PravjiSektor si rifà all’ideologia nazionalista ucraina, nella maniera in cui essa veniva declinata da StephanBandera, il leader militare e politico delle truppe collaborazioniste con i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Egli si proponeva di pulire il paese di tutte le minoranze e di annientare i comunisti e ordinò alle sue truppe atti ancora più brutali di quelli cui si rese protagonista la VI armata della Wehrmacht. Nel dopoguerra si è riciclato, trasferendosi in Germania Ovest, dove ha continuato l’attività anti-comunista costituendo una serie di gruppi paramilitari incaricati di infiltrare la società sovietica, fare propaganda nazionalista per lo smembramento dell’URSS a favore della creazione di stati nazionali nell’area, commettere ogni sorta di delitti. Bandera fu, poi, liquidato a Monaco di Baviera da un sicario sovietico nel 1959.

 

Tuttavia, questa fitta rete di organizzazioni paramilitari anti-comuniste che egli contribuì a fondare emerse prepotentemente con la disgregazione dell’URSS; esse parteciparono a tutti i conflitti che ne seguirono (Transnistria, Abkhazia, Ossezia, Armenia-Arzebaijan, ecc.) sempre ponendosi in posizione russofoba, sostenendo di volta in volta i vari nazionalismi reazionari fomentati dall’Occidente in chiave anti-russa.

 

Allo scoppiare delle rivolte di Piazza Maidan, dunque, questi gruppi paramilitari si trovano addestrati per la guerra; il fatto che alcuni di essi si siano fusi qualche tempo prima in PravjiSektor conferma il fatto che gli eventi fossero, in qualche modo, preparati.

 

Infatti, immediatamente i manifestanti, armi in pugno, si impossessano della piazza notte e giorno e ingaggiano vere e proprie battaglie con i corpi speciali di polizia Berkut. Intanto, si assiste alla sfilata di burocrati e politici di altissimo livello provenienti dagli USA e dall’Europa, accompagnati da qualche sessantottino smidollato, che fomentano la folla e la incitano a rovesciare il Governo Yanukovic, commettendo plateali atti di ingerenza interna negli affari ucraini e violandone la sovranità.

 

Quali sono gli obiettivi delle potenze imperialiste? Gli USA vogliono istallare ai confini della Russia un Governo aggressivo, nazionalista, anti-russo e, soprattutto, pieno di basi NATO,con lo scopo di continuare l’opera di disgregazione e di conquista dei paesi dell’area euro-asiatica, l’Unione Europa, con qualche distinguo dovuto alle ingerenze USA nei paesi baltici ed in Polonia, vogliono che l’Ucraina firmi il trattato di associazione per poi farne una colonia. Inutile dire che anche da noi, in coincidenza di quegli eventi, la campagna mediatica si è fatta martellante, utilizzando il format del dittatore sanguinario contro il suo popolo che anela la democrazia, con tutto il condimento di notizie false, video falsi, retorica sulla rivoluzione sui social network, ecc., il tutto portato avanti in maniera particolare da media supposti progressisti. Da notare che alcuni organi di informazione della sinistra antagonista e di classe ha abboccato a questi canovacci ed attualmente continua a tacere

 

Dopo mesi di scontri, la situazione precipita nel mese di febbraio, quando i filo imperialisti riescono a comprare gran parte del Partito delle Regioni di Yanukovic, che è costretto a fuggire precipitosamente in Russia e, in men che non si dica, si concretizza un vero e proprio colpo di stato: viene insediato un nuovo governo, in cui la fanno da padrone UDAR, Patria e Svoboda, la Timoshenko viene liberata e i fascisti si scatenano contro le popolazioni dell’est, in maggioranza russe o russofone: Il russo viene abolito come seconda lingua, si verificano atti di violenza razzista nei loro confronti e viene elevata la retorica contro la Russia, accusata di essere responsabile di tutti i mali dell’Ucraina.

 

La risposta sia della Russia, sia delle popolazioni dell’est non si è fatta attendere.

 

La Russia ha immediatamente cominciato ad ammassare truppe al confine, inizialmente non ha riconosciuto il nuovo governo ed ha avviato l’iter per riannettersi la penisola di Crimea, passata dalla Russia all’Ucraina nel 1954 per via di una decisione scellerata di Chruscev; si è preceduto a celebrare un referendum nella regione che ha visto una grandissima maggioranza esprimersi a favore del passaggio alla Federazione Russa, la quale può così accorpare nel proprio territorio la base militare che già aveva nella regione, per cui non dovrà più pagare l’affitto. Il nuovo governo di Kiev e le potenze occidentali hanno risposto imponendo sanzioni alla Russia, ma hanno dovuto incassare la perdita della penisola senza opporre resistenza armata.

 

Le popolazioni del Donbass, dal canto loro, hanno dapprima occupato giorno e notte gli edifici pubblici, impedendo ai funzionari nominati dai golpisti di insediarsi, poi hanno creato le milizie di autodifesa popolare, veri e propri corpi militari. Ricordiamo tutti positivamente le immagini di queste milizie che difendevano le statue di Lenin dagli attacchi dei fascisti e la fraseologia antifascista e filo-sovietica che segnava le occupazioni degli edifici pubblici. Il primo maggio si è avuto uno dei primi risvolti violenti dello scontro: esponenti di PravjiSektor, assieme ad alcune curve del tifo organizzato e sottoproletari vari (come si sa, tale è la composizione dei movimenti reazionari di massa), hanno dato fuoco alla casa dei sindacati della città di Odessa, mentre era in corso una riunione al suo interno. Il numero delle vittime è imprecisato, va dalla quarantina a più di un centinaio, alcuni carbonizzati all’interno dell’edificio, altri finiti fuori a colpi di spranghe, bastoni e armi da fuoco.

 

Nonostante ciò, anche nel Donbass si celebrano in maniera quasi pacifica due referendum per l’autodeterminazione della regione, che risultano vincenti. La settimana dopo, le Presidenziali del nuovo regime ucraino si celebrano quasi solo nell’ovest. Si creano, così, le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, mentre nell’est e nell’ovest si insedia il nuovo Presidente Petro Poroshenko, proprietario della Rochen, produttrice di cioccolato, indipendente sostenuto da Udar, che sconfigge nettamente Yulia Timoshenko, la quale, però manterrà un proprio uomo al posto di Primo Ministro.

 

E’ a questo punto che comincia la vera e propria guerra civile, sulla quale si innestano la competizione pesante fra USA e UE riguardo i rapporti con la rapporti con la Russia e i rapporti altalenanti fra la Russia stessa e i ribelli del Donbass.

 

Dopo qualche prima sortita andata a vuoto per la scarsa motivazione dell’esercito regolare ucraino, il governo golpista inquadra PravjiSektor (e il suo seguito sottoproletario) in un nuovo corpo militare, la Guardia Nazionale, ed inizia un vero e proprio tentativo di pulizia etnica nell’est. Le città vengono messe sotto assedio, vengono bombardati da lontano i quartieri residenziali , gli insediamenti industriali e le infrastrutture sanitarie, si punta allo sfinimento delle popolazioni civili per costringerle a lasciare le proprie abitazioni: i rifornimenti di acqua, viveri e medicine vengono tagliati, si impedisce la istituzione di corridoi umanitari, si impedisce ogni genere di assistenza. Il clima di terrore si è esteso anche all’esercito regolare ucraino, con i soldati che vengono uccisi dalla Guardia Nazionale se viene notata una qualche esitazione nell’eseguire gli ordini. E’ stata ordinata una leva forzata e di massa.

 

Intanto, sul piano politico, comincia una feroce competizione sulle sanzioni da imporre alla Russia fra gli USA e l’UE. L’imperialismo nordamericano, infatti, utilizza il solito escamotage di colpire i competitori utilizzando la “lotta per l’estensione della democrazia”. In questo caso, alza il livello dello scontro con la Russia cercando di costringere l’UE a porsi alla ruota per non essere accusati di subalternità alla dittatura putiniana. Ad essere colpito è il settore energetico russo (per ora nella forma delle sanzioni personali ad alcuni esponenti di tale settore), punto dei paesi europei. Lo scopo è quello di imporre loro i fornitori di gas, rimuovendo la partnership energetica con la Russia. Altro punto di scontro fra i due poli imperialisti è il tentativo degli USA di condizionare i paesi dell’UE che hanno una posizione più marcatamente anti-russa, ossia Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia (oltre, ovviamente, al Regno Unito, da sempre orientato verso la subalternità atlantista), inducendole a portare, nei consessi europei, posizioni di scontro nei confronti di Mosca per determinarne gli orientamenti.

 

Dal canto suo, il resto dei paesi dell’UE, per via della dipendenza energetica dalla Russia (tale dipendenza, per altro, è reciproca poiché pure la Russia dipende dall’esportazione di gas e non riuscirà a sostituire i partners europei con la Cina in breve tempo), è interessata a tenere un profilo di maggiore dialogo con Mosca e a non esasperare il conflitto, pur tenendo fermo l’obiettivo di associare a se l’Ucraina. Obiettivo, per altro, in parte raggiunto perché i golpisti di Kiev il trattato di associazione lo hanno firmato ed ora sottoporranno il paese ad una serie di privatizzazioni e politiche di austerità senza precedenti.

 

Questi risvolti, se a prima vista possono apparire secondari, segnalano una tensione crescente fra i poli imperialisti europeo e statunitense che sempre più spesso diventa esplicita per quel che riguarda i temi dell’approvvigionamento energetico, delle alte tecnologie, degli armamenti e del settore finanziario; tali tensioni, per via della crisi sono destinati ad inasprirsi e a diventare la cifra dei prossimi anni; sappiamo, infatti, che i vari imperialismi possono trovare una conciliazione solo momentanea, ma, in generale, tendono allo scontro e alla concorrenza.

 

Sull’altro fronte, Putin, che si sarebbe volentieri risparmiato questa crisi, ha colto immediatamente i segnali di dialogo provenienti da ovest e, dopo essersi assicurato la Crimea, ha messo passi concreti: prima ha ritirato le truppe dal confine, poi ha invitato invano i rivoltosi dell’est a rinviare i referendum di indipendenza, poi ha riconosciuto le elezioni presidenziali in Ucraina, riconoscendo implicitamente il golpe. Ora è impegnato a tessere la trama di improbabili negoziati fra le due parti in conflitto in Ucraina e a tenere in rapporti con i partners europei, specialmente la Germania che, come sappiamo, è l’azionista di maggioranza dell’UE e, quasi sempre, esprime la posizione dell’UE nel suo insieme.

 

Dal canto loro, le milizie di autodifesa popolare, supportate anche da altre milizie spesso addestrate provenienti dall’estero, resistono tenacemente agli assalti dei golpisti e, quando queste ingaggiano uno scontro frontale, grazie alle maggiori motivazioni e alle capacità militari dimostrate dai vertici, quasi sempre riportano delle vittorie. Tuttavia, ovviamente soffrono dell’inferiorità di uomini e mezzi e della tattica del regime ucraino che, non tenendo nello scontro frontale, come detto, punta sullo sfinimento delle truppe e delle popolazioni avversari tagliando i viveri. Sul loro rapporto con la Russia non ci si può pronunciare con precisione poiché ufficialmente essi si limitano solo all’assistenza umanitaria: sicuramente ci sono dei sostegni anche di altro genere, poiché i vertici politici e militari delle repubbliche popolari sono spesso esponenti legati collateralmente in qualche modo agli apparati russi, tuttavia Putin non sembra interessato a ripete quanto fatto con la Crimea poiché, si può pensare, non lo ritiene conveniente (in Crimea c’era la questione della base militare, in Donbass l’apparato industriale viene distrutto dalla guerra e le miniere di carbone sono poco appetibili), né ritiene conveniente offrire un sopporto militare che possa rivelarsi veramente incisivo e decisivo per le sorti del conflitto.

 

Così le milizie sono sprofondate in un limbo, in cui riescono a mantenersi a galla con le proprie limitate, grazie, come detto a motivazioni e capacità militari, ma sembrano a tratti in procinto di crollare da un momento all’altro per la scarsità di uomini e mezzi. Le armi utilizzate sono vecchi arnesi di fabbricazione sovietica probabilmente forniti dalla Russia e quelle sottratte al nemico.

 

La composizione politica del fronte ribelle è molto varia: vi sono esponenti ascrivibili al nazionalismo grande-russi e al panslavismo, legati a settori di capitalisti locali e russi, accanto a organizzazioni sindacali e lavoratori di chiara impronta progressista e antimperialista, con il supporto anche di organizzazioni comuniste come Borot’ba. Tali organizzazioni hanno favorito la creazione di un Fronte Popolare esteso a tutto il territorio dell’Ucraina, quindi anche a quello ostaggio dei golpisti, con l’obiettivo esplicito di creare una repubblica popolare federale ma unitaria orientata alle esigenze dei lavoratori e governata dal popolo, escludendo, quindi, derive nazionaliste russe o divisorie dei varie nazionalità ed etnie che popolano il paese.

 

Ad ogni modo, l’esito di questo conflitto è assolutamente imprevedibile, le variabili in gioco sono talmente tante che non è possibile fare previsioni; inoltre, l’incidente che potrebbe far deteriorare la situazione ed estendere la guerra è sempre dietro l’angolo.

 

In questo quadro, il nostro compito, come comunisti, è sostenere e manifestare, assieme alla comunità ucraina nel nostro paese, a favore della resistenza del Donbass e, nel suo complesso quadro, sostenere le iniziative delle organizzazione comuniste e dei sindacati. Ovviamente tale resistenza, come detto, non è interamente schierata su posizioni socialiste, i rapporti di forza sono quelli che sono, tuttavia essa ha la prerogativa di opporsi fieramente ai disegni imperialisti di asservimento dell’Ucraina e di perpetuazione di una condizione di instabilità nell’area euro-asiatica, raccogliendo l’appoggio dei lavoratori del Donbass.

Per tirare qualche punto politico, tutte queste vicende confermano, la natura imperialista, aggressiva e irriformabile dell’UE, ovvero confermano la natura illusoria di tutte le suggestioni di riformabilità dei suoi trattati e della sua architettura istituzionale incarnate da gran parte della sinistra europea, radunatesi, in gran parte, nelle passate elezioni europee, attorno alla candidatura di Alexis Tsipras.

 

In altre parole, l’Unione Europea non ha una politica aggressiva perché vi è qualcuno che sbaglia e bisogna correggerne l’errore, bensì perché l’aggressività militare, come sappiamo anche dalla teoria leninista, è un tratto tipico dell’imperialismo: un polo imperialista non può fare a meno di assumere tale atteggiamento se non vuole sprofondare nella competizione con gli altri; si tratta, in buona sostanza, di una conseguenza necessaria della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto alla quale non si può porre rimedio nel quadro di questo vigente modo di produzione.

Tale discorso vale non solo per la politica estera, ma anche per i meccanismi interni all’UE, vale a dire l’imposizione di politiche austerità, giunta fino al configurarsi come una sorta di una vera e propria guerra economica nei confronti dei paesi PIGS e, in particolare, della Grecia. Queste politiche non sono modificabili senza passare per la rottura dell’intera macchina burocratica super-statale europea proprio perché sono una necessità dei grandi capitali imperialisti europei per reggere la competizione internazionale. E’ un po’ il corrispettivodell’irriformabilità dello stato borghese affermata da Lenin alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Nella fase attuale, specie in Europa, lo stato-nazione borghese non è più sufficiente a contenere la massa di capitali necessari a sostenere lo sviluppo delle forze produttive attuali, per cui le borghesie nazionali più forti tendono a fondersi, attorno alle proprie esigenze, con altre borghesie in maniera da raggiungere una massa di capitali e di forze produttive tali da essere adeguate alla competizione e allo scontro richiesti dalla fase storica. E’ quello, appunto, che, fra mille contraddizioni e problemi (ma la formazione di tutti i nuovi blocchi storici è sempre stata foriera di contraddizioni, lotte e vittime eccellenti, vedi la formazione degli USA stessi), sta accadendo in Europa, con la borghesia tedesca a fare da locomotiva e da capofila nella creazione di una nuova borghesia imperialista europea e della relativa sovrastruttura, l’UE, funzionali alle proprie esigenze.

Questo processo, pertanto, come ampiamente dimostrano i fatti appena esposti (ma anche altri fatti, come ad esempio la vicenda dello smembramento della Jugoslavia ed il ruolo avuto dalla Germania stessa in quel processo) ben lungi dal condurre alla stabilità e alla pace o al costituire, come vagheggia qualcuno, un polo pacifista occidentale alternativo agli USA guerrafondai, conduce alla instabilità e riporta la guerra nel cuore d’Europa; non vale nemmeno l’altra visione idilliaca secondo cui l’UE non è ancora la pacifica Europa dei popoli, ma potrebbe diventarlo se si libera dalle ingerenze statunitensi: come dimostra questa vicenda ucraina, assieme, anche qui, ad una serie di altre vicende (lo spionaggio da parte statunitense di tutti i leader europei, la competizione sui sistemi satellitari, la vicenda dell’invasione dell’Iraq del 2003, la guerra russo-georgiana del 2008 ed altre) la competizione fra i due poli imperialisti, seppure spesso abbastanza sotterranea è fortissima e spesso mette in crisi le camere di compensazione come la NATO; ma l’UE non fa assolutamente da paciere, bensì è spesso più aggressivo degli USA.

 

Il compito che ci assumiamo, pertanto, come Rete dei Comunisti è quello di promuovere questa idea di necessità della Rottura dell’Unione Europea, come precondizione per qualsiasi esito internazionalista in Europa. Lasciare questo terreno alle organizzazioni neo-fasciste porta al fiorire di nuovi nazionalismi, alla fine subalterni al grande capitali europeo. Noi promuoviamo questa piattaforma e questa necessità in tutte le strutture in cui siamo presenti, politiche e sindacali, ovvero Ross@ e il sindacalismo conflittuale, e ci impegniamo ad allargarla ad una coalizione più ampia possibile di movimenti e forze sociali e politiche, come stiamo mettendo in atto con l’avvio del Controsemestre Popolare.

 

Luglio 2014