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Migrazioni di massa e politiche dell'UE: per fermare l'orrore occorre unire la solidarietà al conflitto di classe

Il 2016 è l’anno con il maggior numero di profughi morti affogati nel Mediterraneo da quando è iniziato l’esodo di massa al quale stiamo assistendo da anni.

A essi si aggiungono i migranti che perdono la vita nei cosiddetti “centri di accoglienza” come Sandrine Bakayoko a Venezia, o in capannoni fatiscenti occupati per non morire di freddo, come Ali Moussa a Firenze.

Un fenomeno, quello dell’emigrazione, che ha assunto dimensioni storiche, affrontato apparentemente nel peggior modo possibile da parte dell’Unione Europea e dei singoli paesi che la compongono. Dietro l’apparenza si nascondono , a nostro modo di vedere, calcoli politici ed economici ben precisi, di una classe dominante intenzionata a sfruttare al massimo il più grande “effetto collaterale” di 25 anni di guerre di aggressione e di sfruttamento intensivo praticati dall’Occidente conto i paesi dell’Est europeo, del Maghreb, dell’Africa.

I dati macro economici evidenziano il grande contributo che il lavoro migrante porta nelle tasche dei padroni, nelle casse degli Stati e degli Istituti previdenziali. Le analisi sociali, demografiche e statistiche d’istituti governativi mettono in luce il bisogno delle nostre società di popolazione giovane e disposta a lavori umili e sottopagati. Tra quello che i paesi europei danno e quello che ricevono dai migranti la bilancia è indubbiamente spostata a favore del profitto per gli “ospitanti”.

Quali allora i motivi di questa ferocia contro milioni di poveri che fuggono dai bombardamenti e dalla miseria? L’uso scientifico di un “esercito industriale di riserva”, funzionale alla divisione tra i diseredati dalla perdurante crisi sistemica del capitalismo in occidente - che distrugge ogni giorno posti di lavoro, pensioni, sanità, trasporti, scuole e Università - dai diseredati che fuggono da paesi devastati dalle guerre militari ed economiche, alla ricerca della sopravvivenza.

Un “Dividi et Impera” nel quale sono impegnate tutte le forze politiche, che sta spostando sempre più a destra il quadro politico europeo. I toni più o meno forcaioli e razzisti sono legati al bisogno di quorum elettorale per andare o rimanere al governo dei vari paesi. La certezza per il futuro è l’imprescindibile bisogno di manodopera migrante per le esangui economie e società occidentali.

Alle forze di classe, ai comunisti, al sindacalismo non concertativo, l’onere di indicare una via d’uscita da questo che appare come un “cul de sac” storico, per contrastare sia le politiche razziste dei governi, sia il populismo dell’estrema destra, ma anche le pratiche falsamente umanitarie di organizzazioni che gestiscono le politiche governative, lucrando sul business dell’accoglienza.

Nella nostra lotta contro il razzismo di Stato e il populismo reazionario non saranno sufficienti generici argomenti solidaristici, l’agitazione di valori universali e l’assistenza umanitaria. O saremo in grado di legare questi valori alla costruzione del conflitto di classe nei posti di lavoro e sui territori, unendo nella lotta uomini e donne divise artatamente dalle campagne di odio ma sottoposte alle solite condizioni di sfruttamento, oppure l’ondata reazionaria assumerà connotati di massa.

QUESTO IL COMPITO AL QUALE SIAMO CHIAMATI, PER UNIRE CIÒ CHE IL CAPITALISMO E I SUOI STRUMENTI DI PROPAGANDA DIVIDONO.


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